“Ho paura di morire”
E chi non ce l’ha? Solo che non ci pensi, non ti sfiora l’idea che un giorno sarai faccia a faccia con l’oscura signora. Crediamo di essere immortali, così come crediamo in tante altre cose che ci fanno paura, che ci portano a odiare, a metterci gli uni contro gli altri. Siamo anestetizzati al dolore altrui, al fatto che quello ci passa accanto con abiti diversi possa pensare, fare, provare sentimenti. L’estraneo è privato di una personalità, è alieno ai nostri occhi. E va bene così, confiniamo la paura nello sconosciuto, e là la lasciamo finché non ci tocca affrontarla per forza. Ma cosa succederebbe se un giorno la nostra paura venisse a bussarci? Se la nostra più grande paura dovesse materializzarsi nel nostro paese, dove conosciamo tutto di tutti, dove non c’è odore di pericolo? Cosa faremmo davanti a quello che ci fa stringere lo stomaco al solo pensiero? L’ambiente di questo spettacolo è spoglio, vecchio, retrò, così come i costumi degli attori e come le idee in cui uno dei personaggi crede fermamente, l’odio per il diverso, l’odio per l’invasore.
Gli attori ci presentano tre diversi volti della paura: quella cieca che porta all’odio, la paura ingenua, che non ti aspetti e che ti spiazza, e quella che ti fa chiudere a riccio per nasconderla. Hanno centrato in pieno il significato intrinseco e tutte le sfumature del terrore: la cecità di questo sentimento, le reazioni che provoca. Il modo in cui trasformano le paure o le addossano a qualcosa di reale, tangibile, ma ancora troppo generico, finché il tutto cambia perché la paura prende un nome, una figura ben definita, un’età, un viso. A quel punto la emozioni iniziano a trasformarsi. Cercano di giustificare le proprie reazioni, di giustificare quell’atto per loro incomprensibile. Le loro movenze e i toni concitati accompagnano perfettamente le loro apprensioni, rendendo lo spettatore partecipe, quasi agitato. Ci sono anche momenti di leggerezza umana, sopraffazione fisica, mentale e pathos recitati ad hoc.
La chiusura è stata secondo me molto significativa e la standing ovation è la prova. È uno spettacolo che permette di riflettere, lasciando l’amaro in bocca, ma un amaro piacevole, perché purtroppo, la psiche umana è imperfetta e incomprensibile ai più. E dà anche spazio al porsi delle domande e al guardare dentro di noi, una cosa non scontata e molto importante.
Consiglio vivamente.

Kiara Tognolini (studente Istituto Mantegna, Brescia)

Prima della bomba
di Roberto Scarpetti
regia di César Brie

Questo contenuto è stato realizzato nell’ambito del laboratorio Wonderland Critic