La matrice classica degli spettacoli è il filo rosso che lega il programma del Festival International de Teatro Clásico de Mérida, per l’ottavo anno diretto da Jesùs Cimarro: dalla prosa alla lirica, dalla danza al musical, spesso si tratta di riscritture contemporanee, o rielaborazioni di soggetti classici, testi di Shakespeare che ne riciclano i miti (Pericle principe di Tiro diretto da Hernán Gené o Tito Andrónico, diretto da Antonio Castro Guijosa) o rimaneggiati da poeti (da Ovidio Metamorfosis di Mary Zimmermann, diretto da David Serrano). A fare da palcoscenico al festival è il teatro romano di Mérida, uno dei siti archeologici più suggestivi del Paese.

Il Prometeo diretto da José Carlos Plaza, — regista esponente del teatro sperimentale spagnolo negli anni ‘60 e ‘70 e fondatore della compagnia Teatro Experimental Independiente — prende avvio dalla riscrittura del poeta e drammaturgo Luis García Monte — docente di letteratura all’Università di Granada e Direttore dell’Istituto Cervantes.

La riscrittura di Montero opera uno sdoppiamento del personaggio di Prometeo, il vecchio e il giovane: il primo, saggio e ironico, fa da contrappunto e completa la figura dell’altro che, intrepido, rubò il fuoco agli dei per affidarlo agli uomini, consentendone l’evoluzione. Montero affida al dialogo tra i due protagonisti i propri dubbi e le considerazioni personali sulle finalità disattese del dono di Prometeo all’umanità: sono diventati migliori gli uomini, o forse hanno sviluppato solo tirannie e crudeltà, persecuzioni ed esodi? Le allusioni al presente sono inevitabili…

Lo scenografo Paco Leal, che con il costumista Pedro Moreno costituisce la base della consueta squadra artistica del regista, colloca la rupe dove è incatenato Prometeo — un parallelepipedo scenografato come pietra nera, sormontato da una gigantesca aquila — al margine dello splendido palco di Mérida. L’arco centrale della bella architettura è ostruito da un discutibile insieme di quadri, fotografie e oggetti che narrano l’evoluzione del genere umano, nel bene e nel male. Ma è un livello di lettura non esibito, interpretabile solo dagli spettatori più attenti che ne scorgono i contenuti: una sorta di “deposito della storia umana” che, da Saturno che divora i figli, arriva alla Nascita di Venere del Botticelli, alla Rivoluzione Francese; dalla crocifissione di Goya alle immagini dei campi di Mauthausen, mescolati a diversi oggetti tra cui spiccano un vecchio pianoforte a coda e un grammofono.

La profonda diatriba poetica e filosofica tra i due Prometeo è restituita da un commovente e istrionico Lluís Homar (lo ricordiamo nel cinema di Almodovar, e in Italia con Cristina Comencini, come nella serie TV I Borgia), ed un bravo Fran Perea (che era stato Oreste nell’Elettra diretta da Plaza a Mérida nel 2012).

Il coro è in questa versione composto da cinque personaggi: Libertà e Compassione sono le uniche due attrici che portano abiti che, attingendo dall’iconografia degli affreschi delle domus romane, ne sottolineano sapientemente il riferimento con le posture assunte in scena, sia da ferme che in movimento. Violenza, Crudeltà e Forza sono attori in fantasiosi costumi che, da una assoluta aderenza (testa e torace), diventano abbondanti gonne con strascico; le stoffe, nelle nuance del grigio, del verde e del rosso, li rendono riconoscibili nonostante l’identità della foggia.

Interessante l’abito di Oceano con abbondante e gonfio mantello dalle sfumature cromatiche marine, sostenuto e agitato da due giovani oceanini; la scena del suo arrivo e la furia tempestosa del mare è resa con un riuscito video-mapping. È il momento più suggestivo dello spettacolo: la tranquilla onda sulla battigia che sommerge il palco si trasforma in un sistema di minacciosi marosi che invadono l’intera scena in pietra, nella sua altezza. Sconcertante il personaggio di Io che, abbandonato il mantello di pelle di vacca, appare come una principessa da favola in abito rosa e chioma platino, simile a una Barbie contemporanea. I riferimenti alla realtà odierna ripropongono lo struggente personaggio — interpretato da una convincente Amalia Salamanca, anche lei presente nel cast dell’Elettra di Plaza — attraverso scelte sicuramente discutibili, ma chiaramente radicate in un immaginario popolare consolidato, trasversale per cultura ed età. 

Le contaminazioni proposte dal testo, sostenute soprattutto dalle scelte scenografiche e dei costumi, ne confermano la contemporaneità e consentono di trovare tra le sue pieghe spazi di approfondimento di alcune figure, operando un ampliamento del loro spazio scenico, senza tradire il testo classico, anzi esaltandone armonicamente i contenuti etici e poetici.

Vittorio Fiore

Prometeo
di Eschilo
riscrittura di Luis García Montero
regia di Josè Carlo Plaza
visto al Teatro Romano di Mèrida in occasione del Festival International de Teatro Clásico