Nel corso di sei coreografie, sviluppate tra il 2015 e il 2016, Simona Bertozzi ha ridisegnato in movimenti il mito di Prometeo creando un quadro composito, in cui le forme e corpi variano di frammento in frammento. Il secondo, in scena a Olinda il 9 luglio, esplora in scena, attraverso il rapporto fra tre danzatori, il dono della civiltà e delle tecniche, che fece degli uomini creature più vicine agli dei e che, d’altra parte, costò al titano quella tragica sofferenza che lo avvicinò all’uomo.
Sulla scena spoglia due donne (la giovanissima Stefania Tansini e la stessa Simona Bertozzi) sono vincolate dai movimenti sincroni e ripetitivi con cui rispondono alla rarefatta musica elettronica di Francesco Giomi. Ma la scrittura si dispiega presto nel distendersi e contrarsi di una sintassi complessa, in cui le due performer si allontanano in soli estenuanti e si riprendono in figure geometriche, combinando e variando un sistema di segni rigidamente studiato. A innovare le trame di una tecnica che sopprime ogni leggerezza nell’esercizio compulsivo del corpo sopraggiunge l’elemento maschile (il danzatore Aristide Rontini). La sua comparsa improvvisa altera le dinamiche sceniche ampliando il gioco di reazioni reciproche e il contrappunto fra gli equilibri e le asimmetrie. Nonostante le attese, il linguaggio coreografico rimane invariato, e inarrestabile inchioda i tre poli del dialogo alla concitazione dei movimenti, a certe iterazioni che sembrano evocare le disfunzioni di un disco inceppato. “Della sorte chi regge il timone?” ansima la coppia femminile; l’interrogativo non può non portare all’antecedente eschileo, laddove tutti i personaggi, frenetici o paralizzati al centro del palco, agiscono per costrizione di una forza lontana. E tuttavia quel “giogo” su cui Eschilo insiste non rappresenta soltanto l’imposizione di un destino implacabile, ma anche la possibilità di un’unione nella fatica.
È così che i tre danzatori avanzano a ritmo zoppicante con le braccia saldamente intrecciate in un’unica figura, e il braccio mutilato che Aristide Rontini esibisce con naturalezza diviene un ponte che congiunge i performer, quasi a dimostrare che il dono di Prometeo agli uomini è una sofferta privazione di sé che si converte in condivisione. La performance si chiude così con un’immagine di grande fascino estetico che sbilancia la struttura del pezzo spostando sul finale tutte le potenzialità di un’abile variazione del registro espressivo e compensando l’incessante tensione dei quadri precedenti come un dono dell’arte allo spettatore.
Nicola Fogazzi
Prometeo: il dono
Ideazione e coreografia Simona Bertozzi
con Aristide Rontini, Stefania Tansini, Simona Bertozzi
Produzione Nexus 2015
ph. Luca Del Pia