Testo e regia di Livia Ferracchiati
visto al Teatro Franco Parenti di Milano_ 3-6 luglio 2013
Un’immagine da vecchio film noir attende gli spettatori di Pulp Hamlet non ancora seduti in sala. Immobili, gli attori accolgono il pubblico in un’atmosfera sospesa, quasi da interrogatorio: chi sarà l’assassino? La cameriera, l’uomo d’affari, l’autista? Le luci si spengono su queste domande, dando il via allo spettacolo.
Antefatto: Amleto (Luca D’Addino) è un ricco ereditiere che, segnato da un animo tanto inetto quanto spregiudicato, uccide il padre per arrivare al potere della multinazionale di famiglia.
La scena si apre con la comparsa dello Spettro (Antonio Gargiulo) che, per trovar vendetta, si rivolge alla cameriera della villa, Helena (Emilia Scarpati Fanetti), la femme-fatale del dramma, e al suo autista Simo (Christian La Rosa), il suo fidanzato. Polonius, socio dell’azienda, assetato di potere, plagia l’ingenua Ofelia, affinché conquisti lo stupido rampollo.
Avidità, bizzarre intuizioni finanziarie – Amleto si ostina a non capire il valore delle paperelle di gomma, punta di diamante della produzione aziendale – corruzione e strategie personali sono gli ingredienti di questa versione ironica e irriverente del testo shakespeariano in scena al Teatro Franco Parenti in occasione della rassegna Boxing Hamlet.
Uno spettacolo ben costruito dalla giovane regista Livia Ferracchiati, al secondo anno della Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi. Gli attori, rapidissimi nei cambi di scena e di ruolo, mostrano una versatilità in certi casi sorprendente. La scenografia si divide in tre diversi luoghi: una cucina, un ufficio e una stanza privata, che si trasformano a seconda delle esigenze della messa in scena e portano l’occhio dello spettatore, come in un film, ad adattarsi a diverse inquadrature.
Le tinte fosche dell’ambiente, gli abiti e i volti degli attori in bianco e nero ricordano la pellicola da cui è liberamente tratto il testo dello spettacolo, Amleto si mette in affari di Aki Kaurismaki. Il lavoro sul testo, compiuto dalla stessa regista, è efficace: è divertente ritrovare, in certi risvolti della trama o in alcune battute, l’originale shakespeariano perfettamente inserito nel nuovo contesto.
I personaggi, privi di una propria psicologia, sono macchiette che presentano un’unica amplificata caratteristica, creando un effetto grottesco che diverte il pubblico, lasciando a bocca asciutta chi, nel capolavoro del Bardo, cerca ancora un po’ di solennità.
Camilla Lietti
Questo articolo è stato elaborato nel contesto del corso di critica teatrale “Critici in erba”, organizzato dalla Scuola Civica d’Arte Drammatica Paolo Grassi, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano.