Si accendono le luci: si è concluso FASE, four movements to the music of Steve Reich, lo spettacolo cult della coreografa belga Anne Teresa De Keersmaeker che apre le danze di MilanOltre. Ma la Sala Shakespeare non si svuota. Tra le prime file si raccolgono decine di spettatori, in attesa dell’incontro con l’artista. Sul palco, davanti al sipario calato, siedono Adriana Borriello e Stefania Ballone (le vedremo calcare le scene dell’Elfo Puccini nelle prossime serate), raccontando se stesse. Con un “Cucù”Anne Teresa De Keersmaeker sguscia fra i drappeggi e si siede accanto a loro. Il suo sguardo è affilato e concentrato. Taglia sul nascere le domande che le colleghe pensano di rivolgerle: è col pubblico che vuole parlare, in inglese, senza intermediari.

Qual è l’idea alla base dello spettacolo?

“Non c’è una sola idea. Il punto di partenza è la musica di Steve Reich. La scoprii quando stavo a New York grazie a un amico regista: è il bagaglio che, terminati gli studi, ho portato con me a Bruxelles ed è stato il mio primo lavoro. A partire da Come out, ispirato e dedicato ad alcune rivolte a Harlem negli anni ’60, Steve si è concentrato sul concetto di ‘sfasamento’, per cui più linee melodiche giungono a sovrapporsi rallentando e accelerando. Amavo la sua musica perché si presenta come un processo, non come un risultato. A catturare il mio interesse erano la natura puramente meccanica di questi movimenti, la progressiva perdita di ‘relazione’ fra essi e la semplicità degli strumenti: cosa c’è di più semplice di mani che battono? ”

Come si è sviluppata la coreografia a partire dalla musica?

“Questa musica è stata l’occasione per creare un mio linguaggio proprio. Mi spingeva a cercare movimenti semplici, come quelli di un bambino a cui si chieda di danzare. Così ho dato vita a geometrie in movimento nel tempo e nello spazio:  linee diagonali, punti rotanti e il cerchio con i suoi diametri mi permettevano di esprimere la ripetitività e la continuità della musica. La sincronia dei gesti rispecchia il contrappunto con l’aiuto delle ombre (un’ idea del mio tecnico) e del loro continuo sovrapporsi e separarsi”.

Come ci si sente a ballare oggi la tua prima coreografia? Immagino sia faticoso quanto una maratona.

“È piuttosto come uno sprint ripetuto per un’ora. Certo devo stare attenta e non posso permettermi di far baldoria la sera prima.  In realtà danzare in una struttura così rigida dà un grande senso di libertà. Proprio in virtù di tale schematicità si crea una sorta di anarchia. Gli stessi costumi rispecchiano questa polarità: l’eleganza di un abito femminile e la severità di un’uniforme. Sono  immensamente grata a questa performance”.

Qual è il messaggio della spettacolo?

I’m not busy with messages. É da decenni che ‘il messaggio’ è superato. Il mio, è un lavoro astratto e formale”.

A cura di Nicola Fogazzi

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView