Quanto è importante l’improvvisazione per il lavoro coreografico della compagnia?
È importante come una premessa che non va mai dimenticata: in scena, ogni spettacolo è diverso e non deve mai essere lo stesso, almeno nella nostra compagnia. Per alcuni coreografi è fondamentale che lo spettacolo sia una riproduzione identica a se stessa; per noi, invece, è necessario che i danzatori raccontino ogni volta la storia quasi in autonomia. Dunque, lasciamo sempre dei momenti di improvvisazione. D’altronde i nostri danzatori, una volta iniziato lo spettacolo, rimangono in scena per quasi un’ora ed è anche per questa durata che devono avere degli spazi di autonomia. Ma nella cornice del contesto: l’improvvisazione non costituisce la struttura della coreografia, ma è una sorta di “cemento”, che lega i quadri della performance.
Les nuits barbares presenta vari stili, dalla danza contemporanea all’hip hop: come si coniugano componenti così diverse nella stessa coreografia?
Il fondamento del lavoro coreografico è danzare insieme, unire diversi punti di vista, culture, religioni, quindi anche tecniche diverse. La convivenza di istanze molteplici però implica un atto di volontà: fare un passo in avanti, per avvicinarsi all’altro. Stiamo cercando di giungere a una formulazione di questo concetto che definiamo “alter hip hop”. Assumiamo cioè l’hip hop come base, per poi cercare ciò che è “altro”: culture, linguaggi, ma anche tratti fisici. Non vogliamo confondere e sovrapporre gli stili; non vogliamo cambiare la formazione tecnica dei danzatori ma esplorarle.
Lo spettacolo affronta il tema della cultura condivisa nel bacino del Mediterraneo. Racconta una storia antica, ma parla anche di quella recente, fra contatti e barriere, è così?
Sì, dobbiamo affrontare i problemi attuali, ma è necessario farlo attraverso la storia, che sempre più spesso viene cancellata, dimenticata. L’altro da noi viene additato come “il diverso”, come “il barbaro”, ma non è così: condividiamo lo stesso spazio geografico, le stesse dinamiche temporali.
La Compagnia Hervé Koubi, fondata nel 2000, unisce danzatori con origini diverse. Quanto è importante lavorare in un ensemble multietnico?
Attraverso la danza, è possibile superare le barriere culturali. I nostri danzatori provengono da Algeria, Marocco, Francia, Italia, Slovenia, Bulgaria, Israele, Palestina; e il gruppo funziona, è in grado di produrre contenuto e significato. Nel mondo dell’arte ciò è possibile: forse riusciremo a fare lo stesso nella vita di tutti i giorni.
Eleonora Franchi
(in copertina ph: Pierangela Fisi)
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview