Durante la tua masterclass, vi siete concentrati molto sui movimenti a terra, facendo numerosi riferimenti agli elementi naturali, ma anche alla Sicilia, tuo luogo d’origine. Quanto è importante la tradizione e il legame con la tua terra nel vostro lavoro?
Ogni terra produce un’ispirazione diversa: noi danziamo ciò che siamo. Anche l’atteggiamento a volte un po’ spavaldo di noi siciliani torna nelle coreografie. Per capirci: se vai a fare un giro al mercato di Catania [dove ha sede la compagnia ndr.] non vedrai gli uomini andare in giro con lo stesso portamento che hanno a Milano. La nostra è una compagnia internazionale, non è una prerogativa essenziale essere siciliani, ma sicuramente in tutti i lavori c’è una base culturale forte, quasi genetica. E anche nel movimento, in un certo senso, accade lo stesso: il radicamento alla terra rende paradossalmente più liberi. Chiediamo aiuto alla terra, non ai santi, dico sempre!
Lo hai appena ricordato: la Compagnia Roberto Zappalà è anche una compagnia internazionale. In un mondo sempre più lacerato dal conflitto tra universale e particolare, tra globale e nazionale, come si colloca la vostra danza?
La danza è sempre un linguaggio universale: il linguaggio del corpo è l’unico che possono comprendere tutti. Il fatto che sia legato a una tradizione, alla terra, e alle proprie radici, come nel caso della Compagnia Roberto Zappalà, è naturale, ma non è il punto importante: se anche un modulo espressivo si sviluppa da una determinata tradizione quel che conta è la sua capacità di comunicare con tutti.
Spesso la danza contemporanea si concentra su immagini e movimenti astratti. I lavori presentati a MilanOltre (Romeo e Giulietta 1.1 e I am beautiful) prendono invece le mosse da riferimenti letterari e artistici. Questi ultimi costituiscono solo il punto di partenza o sono elementi imprescindibili per la fruizione?
Roberto [Zappalà ndr.], prima di iniziare la creazione di uno spettacolo, raccoglie tantissime informazioni, insieme al suo drammaturgo. Legge testi, fa il pieno di immagini, va a vedere mostre e spettacoli, prende appunti su tutto ciò che lo circonda. Poi, una volta arrivato in sala prove, si libera da tutto quello che ha raccolto fino a quel momento. Non è citazionismo compulsivo; semplicemente le immagini e i riferimenti riemergono perché il coreografo se ne è nutrito a lungo. Per esempio in I am Beautiful si vede la posizione de Il bacio di Rodin, si sentono dei versi di Baudelaire: qualcuno riuscirà a riconoscerli, altri no. Non è importante, perché in qualche modo lasciano traccia nello spettacolo e, come sono state una suggestione per Zappalà, così possono esserlo per lo spettatore: si lascia che sia l’inconscio a lavorare, a far emergere le immagini evocate. L’interesse del coreografo è quello di condurre lo spettatore nel campo oggetto di indagine, lasciando poi allo stesso piena libertà di sguardo e interpretazione.
Cosa si può consigliare a chi si approccia per la prima volta, o con occhio inesperto al mondo della danza contemporanea?
Consiglio di guardare gli spettacoli con gli occhi che potrebbe avere un bambino, con uno sguardo aperto a ricevere.
Andrea Malosio
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView