Qual è il fondamento di lavoro della vostra compagnia?
Noi siamo una compagnia di teatro danza, physical theatre. Lavoriamo sempre partendo dalla drammaturgia, per poi concentrarci sulla coreografia e la musica. Non sottovalutiamo l’importanza dell’estetica della danza ma è nostra priorità che il corpo sappia rappresentare esattamente ciò che vogliamo comunicare ogni volta. La drammaturgia ci permette di comunicare attraverso il gesto teatrale e il fare corporeo

Lo spazio urbano è una componente determinante nella performance, perché?
Lo spazio è per noi l’estensione più grande del nostro lavoro. È per noi concretezza: i danzatori si confrontano con superfici anche complesse, con la durezza del cemento e con una serie di cose fisiche ma che sono effettivamente reali, lì davanti a noi. Lo spettatore deve capire che si sta confrontando con la realtà in modo tale da accogliere con empatia il nostro linguaggio del corpo. La danza nella sua astrazione permette di mettersi in relazione con lo spettatore, anche non esperto, avvolgendolo in una dimensione partecipativa ed empatica dove non tutto è da capire razionalmente.

Parlando di empatia: non dev’essere facile ricrearla attraverso la sinfonia di Tristan Perich. Come mai questa scelta sonora?
Proprio perché Tristan nella sua sinfonia è completamente “a-narrativo” e “an-emotivo”. L’emozione e la relazione non sono già contenute nella musica, sono cose che il pubblico deve ricercare nell’azione performativa. L’empatia si crea perché c’è una trasmissione energetica e una partecipazione reale. Lo spettatore in questo modo è invitato a percepire l’azione attraverso un diverso livello di comprensione, attraverso un “sentire percettivo” che esclude categorie e definizioni e che è alla base di una forma sana di comunicazione.

Funzionalità, spazio, individuo e condivisione possono essere le parole chiave per definire A[1]bit? Sì perché l’idea cardine della performance, composta di cinque movimenti, è mettere in relazione individuo e città nel suo aspetto funzionale. Il tema “individuo ed efficienza” presente nei primi tre movimenti lascia poi spazio a uno scioglimento totale di questa frenesia venutasi a creare, quasi fosse un mantra, un mezzo per arrivare in uno spazio sospeso dove potersi lasciare andare. Passiamo perciò da una rete di informazioni con cui si deve confrontare l’individuo a una dimensione di collettività autentica: la città deve essere pensata come uno spazio di condivisione. Con gli ultimi due movimenti, ci ritroviamo non solo in uno spazio che deve essere funzionale ma che deve allo stesso tempo essere un luogo dove umanità e condivisione siano garantite. In altre parole lo spazio che creiamo vuole essere un organismo solidale.

Beatrice Locatelli


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview