Da cosa è nata l’idea di produrre una performance sulle musiche di Tristan Perich?
Ascoltando A 1 bit Simphony di Perich ho trovato meraviglioso che una sinfonia piuttosto complessa potesse essere prodotta con un piccolo, semplice, oggetto elettronico: il microchip. E poi mi interessava il fatto che quella di Perich fosse musica “contemporanea” proprio nel senso del “nostro tempo”: la musica del microchip infatti non è registrata, ma prodotta al momento, per cui non c’è alcuna distanza con chi ascolta. Questi suoni digitali, apparentemente lontani da una dimensione empatica, aprono in realtà degli spazi sonori. Nella creazione della performance sono partita proprio da questi.

E come li hai sviluppati? In che modo sono entrati in relazione con la danza?
Ogni singolo gesto della performance sorge dagli stimoli che gli spazi sonori suggeriscono, inoltre ciascuno di questi movimenti è, in sostanza, un’informazione corporea. Il cuore di questa danza sta nel fatto che il bit è l’unità di misura dell’informazione digitale, ma è anche la qualità sonora minima in cui si può suonare qualcosa, creare qualcosa. Nel sistema binario, tra zero e uno, è inscrivibile l’informazione di tutto ciò di cui viviamo, dai telefoni cellulari fino a ogni nostro gesto corporeo.

Come si coniuga l’ “unità di misura dell’informazione digitale” con il tema della città?
A 1 bit Simphony è una composizione colta, con riferimenti elevatissimi ma anche pop, da Strauss ai suoni della Nintendo. Se non fosse ascoltata in cuffia, come avviene nella performance, ma da una cassa, cioè da un impianto, sentiremmo solo del rumore, non coglieremmo ciò che arriva dalla fruizione individuale. Questo mi ha suggerito di esplorare il concetto di “posizione del singolo” all’interno della città, dove la “città” è da intendersi sia come organismo sia come spazio fisico, ma anche come spazio antropologico, dove ogni essere umano agisce come piccola parte di un corpo unico.

Perché avete scelto proprio Milano?
La mappa di Milano è passata dalla struttura razionale romana (cardi e decumani) al policentrismo. Se vivi a Milano non hai la percezione di essere in un luogo con un unico centro, eppure le informazioni circolano velocemente proprio grazie alla sua forma, come avviene per un danzatore con il centro del proprio corpo. Pensando a come è fatta la città, pensando al suo centro regolatore, abbiamo cominciato a mettere insieme tutto ciò che la città di Milano comunica e come lo comunica, interrogandoci anche su con quale velocità passano le informazioni al suo interno. I corpi dei performer, basandosi sui suoni prodotti dal microchip, danzano alla velocità con cui si muovono le informazioni all’interno della città di Milano: talvolta i corpi arrivano a scardinare quella velocità, e seguono un ritmo di ordine diverso, così da creare una danza individuale all’interno del corpo collettivo della città.

Laura Rodella


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView