Durante la mattinata di lunedì 10 ottobre alla Dancehaus di Milano Roberto Zappalà, direttore artistico e coreografo della Compagnia Zappalà Danza, ha affascinato un folto gruppo di giovani ballerini professionisti, regalando loro un’intensa e tutt’altro che canonica lezione. Al termine della masterclass il coreografo si è reso disponibile a rispondere ad alcune domande.

Ha affermato che “la danza è una delle espressioni creative più filosofiche”. Come si esprime questa concezione nei suoi lavori?

A mio parere la danza, e in particolare la nostra danza, è un’arte filosofica in quanto può dire tutto e contestualmente non dire nulla. Si tratta di una manifestazione artistica che tende a suggestionare senza la pretesa di fornire spiegazioni. Quando creo una coreografia non sempre ho una risposta per ciò che esprimo, ma è lo stato d’animo che provo nel momento della creazione a offrirmi delle spiegazioni. La danza, non disponendo della parola, è astrattismo assoluto, e, in quanto tale, raggiunge il proprio obiettivo quando riesce a creare fascinazione.

Qual è dunque il ruolo dello spettatore nella percezione della sua danza?

Il ruolo dello spettatore è fondamentale. Una volta che l’opera è portata a compimento, la proprietà non è più dell’artista, ma viene affidata al pubblico e il coreografo assume la responsabilità del giudizio. Le mie coreografie spesso raccontano frammenti di realtà e, nel momento in cui sono in grado di affascinare e di stimolare un ragionamento, ecco che si concretizza il ruolo dello spettatore. La mia danza mira a questo, non alla conquista di un mero risultato tecnico, perché nessuno vince nell’arte.

In che modo la Sicilia, il suo spirito e la sua comunità si manifestano nelle sue opere?

La Sicilia ha un ruolo sostanziale nei miei lavori. Probabilmente se avessi continuato a lavorare a Londra o a Parigi sarei stato un coreografo diverso. La forza della Sicilia per me, che vivo e ho fondato il centro coreografico “Scenario Pubblico” a Catania, si concretizza nella presenza dell’Etna. Il vulcano è irruente, arrogante e prepotente, controlla la città e incombe su essa. Queste peculiarità non possono fare a meno di manifestarsi nei corpi dei danzatori che risultano arroganti, senza scivolare nel senso volgare del termine: si tratta di un’arroganza delicata socievole e sociale. In questo senso la comunità siciliana è fortemente connotata; camminando per le vie di Catania ci si sente osservati, “toccati” con lo sguardo. Questa attitudine influenza profondamente l’artista, per questo i miei lavori divengono spesso un momento di critica della società in cui vivo.

Lei ha anche riflettuto sul concetto di corpo in una trilogia di scritti: Corpo devoto, Corpo etico e Corpo istintivo. Come si concretizzano questi aspetti nelle sue coreografie?

Credo che la devozione, l’etica e l’istinto siano punti nodali nella percezione di un corpo danzante. Esso deve essere in prima istanza devoto, verso se stesso, il pubblico e il coreografo. Al corpo non deve mancare neanche l’etica, che si esprime nel rispetto del proprio e dell’altrui corpo, e nel pudore, inteso come senso di liberazione. Alla base del percorso creativo, infine, c’è l’istinto: il coreografo, trasferendo la propria ispirazione ai danzatori, crea un linguaggio.

A cura di Elisabetta Cantone

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