Un concetto fondamentale che esplori in Tra le linee, lavoro che porti quest’anno a MilanOltre, è il limite: come lo avete affrontato?
Tra le linee è nato dalla co-creazione con Claudio Pasceri. Insieme abbiamo immaginato un lavoro che proponesse una forte connessione tra coreografia e musica dal vivo. Il limite diventa in questo lavoro un concetto sostanziale: viene vissuto come una pulsazione tra la presenza e l’assenza, una possibilità di trasformazione; non è una componente statica, anzi, attraversa con energia i corpi.
Durante la performance è presente un quartetto d’archi che suona dal vivo: come avete trovato la sinergia tra musica e coreografia?
Pasceri – che oltre ad essere co-autore è anche in scena come violoncellista – mi ha proposto un orizzonte sonoro che spaziava tra La Grande Fuga di Beethoven e Zwischen den Zeilen di Wolfgang Rihm, compositore contemporaneo tedesco. Entrambi questi autori hanno suggerito moltissimi movimenti e impulsi alla coreografia. La struttura de La grande Fuga è stata interessante perché è “a-gerarchica”: gli strumenti sono in continuo dialogo, nessuno prevale e tutti alimentano uno spazio fatto di correnti e flussi, tradotti poi nella coreografia. Rihm invece intesse dei fili sottili e la sua partitura rispecchia molto la nostra idea di creare attraverso l’unione di movimento e gesto. Ci piaceva davvero molto questo concetto e proprio la traduzione della partitura ci sembrava perfetta per questa ricerca, Tra le linee, appunto.
Come si è sviluppata la ricerca sul gesto nel tuo lavoro?
L’idea di questo progetto è iniziata l’anno scorso e si è interrotta a causa dell’esperienza del Covid-19. Nel dover lavorare a distanza, ho ripensato a come comunicare ai danzatori e ai musicisti il tipo di lavoro col corpo che avevo in mente. Il valore del gesto, la sua potenza e immediatezza, mi hanno molto interessato. Sono partita dall’iconografia della statuaria antica, fino alla fotografia urbana, per arrivare ai gesti netti e potenti delle ultime manifestazioni, come il poliziotto con la mascherina inginocchiato durante le manifestazioni americane di Black lives matter o anche la Naked Athena di Portland. Sono dei gesti individuali che assumono un’identità per la comunità. Questi gesti sono stati inglobati e sono diventati ragione di origine e di approdo coreografico.
Come si inserisce Tra le linee in questo contesto particolare creato dall’epidemia?
La situazione che stiamo vivendo ci invita a riflettere sulla prospettiva dell’individuo e su una nuova prossimità. Oltre l’impossibilità di toccarsi, si deve ripensare al proprio modo di stare con gli altri. Nel nostro piccolo, lo abbiamo fatto: non patire l’impossibilità di non toccarsi, ma abitare lo spazio, che diventa denso di informazioni per i corpi.
Martina Abati
(In copertina ph: Gus Bo)
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview