Com’è tornare a MilanOltre in questo 2020, che ti vede non solo come interprete ma anche come direttrice di Balletto Teatro di Torino?
Sono molto felice di tornare, e anche un po’ emozionata: è un festival che amo per la cura che c’è dietro, per le persone che si incontrano e per l’aria che si respira. Certo, tutto sarà condizionato dalle incertezze dell’andare sul palco in un momento di emergenza sanitaria. Per esempio, in scena non ci sarà Anemoi, ma Studio per Anemoi: quello che portiamo sul palco è infatti un processo, una tappa di un percorso di cui, senza un regolare sviluppo produttivo, non possiamo dire di conoscere del tutto gli esiti. Insomma sarà sicuramente un festival inedito per noi, anche perché non portiamo solo un nostro lavoro: Manfredi Perego [coreografo di Anemoi, ndr.] si è reso disponibile a danzare subito dopo questo studio, come interprete di Primitiva. Credo sarà un bel mix di energie: un ottimo equilibrio e una stessa matrice comune tra noi e lui, che del resto è parte della nostra famiglia!
La struttura della serata in fondo rispecchia la sinergia e la continua collaborazione tra coreografo e interpreti. Com’è stato lavorare per Anemoi con Perego?
La cosa bella di Anemoi è che l’esigenza di fare una coreografia insieme è nata solo in un secondo momento: il rapporto con Manfredi infatti era cominciato ben prima, con una serie di appuntamenti mensili. In questi incontri eravamo spinti dalla sola esigenza – sua e nostra – di fare ricerca sul movimento, una ricerca finalizzata a se stessa e non all’andare in scena. Col tempo ci siamo resi conto che stare in sala insieme era davvero bello, e addirittura delle volte lui danzava e faceva l’interprete insieme a noi. Solo dopo è nata, per lui, la necessità di creare qualcosa, e, per noi, quella di danzare in una sua creazione. È stata, in altre parole, un’esigenza reciproca, senza forzature.
Quando è nata l’idea di lavorare sul tema del vento?
L’idea è venuta a Manfredi nel momento in cui ha cominciato a pensare di creare una coreografia. Poi, nella fase successiva, ognuno di noi ha collaborato all’indagine, cercando di mettere in campo la propria esperienza e facendo sì che lo spettacolo fosse anche frutto di una collettività. La parte più interessante sta forse nel gap che sta tra il vento, inteso come elemento molto concreto e, al tempo stesso, come evanescenza inafferrabile: noi come interpreti e lui come coreografo abbiamo cercato un equilibrio tra il disequilibrio di questi elementi.
BTT lavora molto con le scuole. Pensate di continuare, nonostante il momento storico molto particolare? Quali sono i vostri progetti?
Con le scuole noi abbiamo tre diversi progetti e vorremmo portarli avanti anche ora, perché crediamo molto nell’educazione al bello e all’arte fin da bambini e pensiamo sia importante cominciare a proporre un percorso sull’espressione corporea in un contesto in cui farlo non è consuetudine. Per prima cosa ci sono le collaborazioni con gli istituti per far sì che la danza sia inserita tra le attività extracurricolari per gli alunni. Un secondo modo con cui entriamo in contatto con le scuole è quello di organizzare degli spettacoli dedicati esclusivamente alle classi: professori e alunni vengono a teatro a vederci danzare ma anche a imparare qualcosa di storia della danza, come è fatta una punta, o come si passa dal classico al contemporaneo. Infine, abbiamo provato anche a entrare per davvero nelle scuole, portando dei site specific all’interno degli istituti. Dopo un nostro primo sopralluogo lavoriamo per costruire un percorso a tappe all’interno dell’edificio scolastico. In una scuola media abbiamo creato un percorso che coinvolgeva le scale, il cortile, la palestra e l’aula magna; due nostri danzatori si sono travestiti da bidelli, un altro ha suonato il pianoforte. La cosa bella è stato vedere come tutti noi ci siamo calati nella nostra parte, ma anche come gli alunni, i professori e il personale hanno rivissuto – cioè abitato in modo nuovo – spazi che per loro sono abituali. Siamo entrati nella loro dimensione regalando loro una nuova memoria del luogo. Non dobbiamo solo pensare che siano gli altri a venire a vedere noi a teatro, ma dobbiamo anche andare noi incontro a loro.
Virginia Magnaghi
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview