Il titolo di una delle due coreografie che presenti a MilanOltre è Bimb(y)i, un nome che evoca da una parte l’infanzia e dall’altra un ormai noto elettrodomestico. Come si correlano i due riferimenti nello spettacolo?
Come in un gioco, gli interpreti di Bimb(y)i hanno una regola da seguire: tenere vivo un moto perpetuo dall’inizio alla fine. La danza, frenetica e meccanica, incarna tanto il frullatore, quanto la vitalità instancabile dei bambini.

Com’è nata l’idea di rendere qualcosa di così lontano dall’arte (il Bimby), soggetto rappresentato dell’arte stessa? È una provocazione calcolata?
Lo spettacolo è nato in due tempi. Ho letto Il lavoro su di sé di René Daumal e, in particolare, una frase ha ispirato Bimb(y)i: “Sono morto perché non ho il desiderio, non ho desiderio perché credo di possedere, credo di possedere perché non cerco di dare. Cercando di dare, si vede che non si ha niente, vedendo che non si ha niente, si cerca di dare se stessi, cercando di dare se stessi, si vede che non si è niente, vedendo che non si è niente, si desidera divenire, desiderando divenire, si vive”. Si riferisce all’espressione di un moto che va incessantemente dalla morte, intesa come assenza del desiderio, alla vita, intesa come desiderio, in una continua evoluzione. Come raffigurare allora questo moto in modo dinamico? Ho immaginato che un frullatore potesse renderlo più concreto! Più che una provocazione, l’idea era quella di creare un’immagine d’impatto che pian piano rivelasse il suo vero significato.

E invece come hai elaborato la coreografia di Cedo all’usarmi?
Cedo all’usarmi nasce come versione rivisitata di un assolo che ho presentato nel 2016, Dismisura, ovvero j’ai pas d’autre choix. In quel caso si trattava di rappresentare una “dismisura esagerata”: la religione, il barocco, l’eccesso. In Cedo all’usarmi invece c’è una dismisura nel minimo, nel minuzioso. Il titolo è in prima persona, perché all’inizio dovevo interpretarlo io, ma poi sono entrato in sala e ho capito che non ne avevo voglia! Forse non avevo ancora digerito lo spettacolo del 2016. Allora mi sono domandato perché non indagare questo mio rifiuto: ho chiesto al danzatore e coreografo Giordano Novielli di prendere il mio posto sul palco. Lui ha trovato la proposta coerente con il suo percorso, e vi abbiamo lavorato insieme.

Che musica hai scelto per sottolineare il diverso scorrere del tempo del tuo dittico?
In Cedo all’usarmi c’è un’assonanza con lo spettacolo del 2016, nel quale mi ero concentrato molto sul tema della religiosità del Sud Italia, mio luogo di origine. Ho optato infatti per il Miserere di Giovanna Marini di Sessa Aurunca, accompagnamento alla processione del Venerdì Santo efficace per dilatarne lo scorrere del tempo. “Miserere” di fatto significa ridursi al minimo, che è ciò che ho ricercato nella mia coreografia. In Bimb(y)i invece ho voluto un’alternanza di suoni meccanici per rendere il tempo incalzante.

Micol Sala


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView