regia di Lorenzo Loris, con gli allievi dell’Accademia dei Filodrammatici
visto al Teatro Out Off di Milano _ 17 novembre-22 dicembre 2011
All’Out off è tempo di prime. Lorenzo Loris, da 25 anni regista di quello che si definisce lo Stabile d’innovazione milanese, per la prima volta nella sua carriera affronta Shakespeare. Gli allievi dell’Accademia dei Filodrammatici, e anche per loro è un debutto, partecipano a una produzione del teatro di via Mac Mahon.
Il risultato è Quel che volete (La dodicesima notte), messa in scena tratta da una della più divertenti e scanzonate commedie del Bardo, con innesti da Gli ingannati, testo di un anonimo italiano del Cinquecento, probabile fonte di ispirazione per l’opera più famosa. In questo contesto di ripresa filologica, le musiche ci fanno fare un salto temporale: sebbene questo sia uno dei pochi esempi di opera shakespeariana tramandata completa di alcune indicazioni musicali nel testo, il regista preferisce creare un’atmosfera jazz, con brani, cantati dal vivo, di Cole Porter e Nat King Cole mentre una brava pianista, Bruna Di Virgilio, accompagna lo svolgersi della vicenda. Semplici ed eleganti le coreografie di Franco Reffo.
Loris sceglie di ambientare la vicenda invece che nell’immaginaria Illiria shakespeariana su una nave da crociera che mantiene il nome della terra letteraria ma, tramortita dalla tempesta, diventa metafora degli sbalzi d’umore, di senno e di emozioni dei personaggi, insomma metafora di vita vera. Così i divertenti siparietti tra sussulti d’amore, burle, malintesi e scambi di persona vengono interrotti da immaginarie ondate marine che rovesciano i passeggeri a terra scandendo i loro destini da una scena all’altra e riportandoli a una dimensione più sofferente e meno giocosa. E il lieto fine sarà solo una liberazione illusoria: dopo il teatro c’è da affrontare, appunto, la vita.
Testo pulito, anzi ri-pulito e ogni cosa al suo posto. Persino troppo. Loris non ha rischiato, ha volato basso, lavorando più che altro sull’impostazione e la perfettibilità di questi giovani e talentuosi ragazzi (su questo non c’è niente da obiettare) e trascurando forse l’aspetto più interessante del lavoro: quello che da un testo e da un gruppo nuovo vorrebbe far emergere un’idea, una riflessione, uno spunto per sovvertire e ricostruire le regole di una messa in scena che tutti si aspettano tradizionale.
Invece si sceglie di privilegiare le caratteristiche di ogni singolo attore e di lasciarlo sfogare in un esercizio di tecnica accademica, tanto che a tratti si ha l’impressione di trovarsi di fronte a una dimostrazione di lavoro più che a uno spettacolo compiuto. In alcuni momenti si ride di gusto, in altri invece semplicemente si sorride, soprattutto quando l’impostazione di questi ragazzi, che pur sprizzano genuina e coinvolgente energia da tutti i pori, appare un po’ troppo ingessata.
Un esempio su tutti: i momenti cantati, non organici nella struttura drammatica, paiono solo esibizioni di bravura, quasi in stile talent show. Intenti a dimostrare di saper cantare, danzare, recitare, gli attori non hanno modo di sporcarsi le mani né di sorprendere. Restano talentuosi ma non emozionanti, proprio come lo spettacolo. Eppure, in presenza di una materia prima così promettente, varrebbe la pena osare.
Francesca Gambarini