Nell’ambito del dibattito sorto in questi ultimi anni, nel mondo teatrale e culturale, attorno al tema dell’audience development, abbiamo cercato di dare spazio su questa pagina all’approfondimento e alla riflessione: quale può essere il ruolo degli operatori culturali nel facilitare lo scambio tra palco e platea? Quali sono i luoghi e i progetti che riescono a cambiare le prospettive e a porsi come casi di studio?
Quello che ci muove, progetto sostenuto e promosso dalla Lavanderia a Vapore di Collegno e dal Centro della Scena Contemporanea di Bassano del Grappa, si inserisce questo solco e si interroga sulle nuove possibili strade da percorrere. Abbiamo chiesto a Mara Loro, area innovazione culturale della Fondazione Piemonte dal Vivo, di raccontarci le prime tappe di questo lavoro, la cui conclusione è prevista per la primavera del 2020.

Gli incontri casuali, o comunque non finalizzati al raggiungimento di un obbiettivo predeterminato, fanno ancora parte della nostra quotidianità? Quando si condividono urgenze e necessità e, per ragioni diverse, si realizzano momenti di ascolto e fiducia, questi momenti possono essere rilevanti perché generativi di nuove traiettorie individuali e/o collettive che possono contribuire alla dinamicità dei sistemi di riferimento a cui si appartiene. Come dice il giornalista e scrittore americano Steve Johnson (La nuova scienza dei sistemi emergenti, Milano, Garzanti, 2004): «sono gli incontri casuali che rendono il sistema dinamico». Da un incontro “casuale” è nato il progetto Quello che ci muove, in cui si può vedere in filigrana la presenza di nuovi paradigmi e l’emergere di nuovi sistemi che rispondono alle sfide culturali del nostro paese.

@Fabio Melotti

Quello che ci muove è il titolo di un progetto culturale sostenuto e promosso dalla Lavanderia a Vapore di Collegno e dal Centro della Scena Contemporanea di Bassano del Grappa, in qualità di EDN Italia. Si potrebbe definire un’agorà itinerante composta da artisti, operatori e cittadini, ogni volta diversi, che si interroga su come sostenere i processi di creazione di quegli artisti che costruiscono la propria opera in dialogo con un contesto. Interpella soggetti differenti per esplicitare, condividere e mettere a frutto l’insieme delle conoscenze che già sono presenti all’interno del sistema, ma che non sono ancora condivise, per essere utili alla crescita del sistema stesso (capitale culturale collettivo). Le premesse di questo progetto nascono da un incontro in cui è emersa una criticità condivisa: la mancanza di un processo di rispecchiamento tra l’artista e il pubblico durante la visione di un atto performativo (processo che invece ha luogo nei momenti di condivisione di una pratica artistica, nel corso della residenza artistica). La considerazione che ne è conseguita è stata quella di capire dove situarsi per continuare a progredire nella riflessione sul senso dei luoghi di cultura per il proprio contesto di riferimento, intrapresa con i progetti di audience engagement promossi a livello regionale, nazionale e internazionale.

@Fabio Melotti

La scelta è stata quella di investire tempo, riflessioni ed energie intorno ai processi di creazione e di produzione di quegli artisti che sviluppano la propria progettualità attraverso un processo dialogico con il proprio contesto di riferimento, piuttosto che dedicarsi al coinvolgimento del nuovo pubblico e ai progetti di fruizione e di formazione. Rispetto a queste traiettorie le residenze hanno facilitato l’incontro tra artista e pubblico in un momento particolare, quando il processo di creazione è ancora in fieri, quando c’è un tempo dedicato all’incontro, per una conoscenza disinteressata. Un’occasione per condividere una riflessione intorno ai contenuti artistici e intorno all’immaginario, che gli artisti suggeriscono alla società civile attraverso la loro poetica. Immensa è la fatica degli artisti che lavorano in questa direzione e che spesso, per progredire, assumono ruoli differenti (curatore, mediatore, attivatore di comunità…), rischiando così di non riuscire a gestire la complessità dell’intera operazione e di inficiare la qualità artistica del loro lavoro.

Il laboratorio Quello che ci muove apre un confronto in merito alle esperienze che si sono intraprese in questo senso e raccoglie la sfida di aprire le due istituzioni partner ai processi di cambiamento. Abbiamo immaginato un’azione concreta di risposta nell’intento di individuare sistemi di riferimento più grandi, capaci di accogliere le conoscenze prodotte. Il primo laboratorio è stato organizzato a Vignale, in occasione del Vignale Monferrato Festival ideato dalla Fondazione Piemonte dal Vivo a luglio, seguito da quello tenutosi a Bassano in occasione del Festival B.motion ad agosto. Ogni incontro prevedeva al mattino un dialogo intersettoriale e interdisciplinare intorno alle narrazioni di sistema, e al pomeriggio una condivisione delle esperienze di residenza artistica e di sostegno alla creazione. A oggi hanno partecipato 120 persone, alcune delle quali hanno seguito entrambi gli appuntamenti.

@Valentina Bianchi

Nei laboratori realizzati a Vignale sono stati coinvolti soggetti diversi: artisti, operatori e cittadini provenienti da altri settori culturali (pedagogia, medicina, imprenditoria, nuove tecnologie) a cui abbiamo chiesto: “Di che cosa dobbiamo parlare?”. All’artista attraverso la sua poetica, al direttore artistico attraverso la programmazione degli spettacoli, agli esperti coinvolti. Molte prospettive si sono incrociate, così come altrettante sono cadute per lasciare spazio a narrazioni condivise, a prescindere dal proprio ruolo o settore di appartenenza. È stata un’occasione importante che ha introdotto una possibilità ancora tutta da considerare ed esplorare: non la narrazione di un artista, di un operatore, o di un cittadino, ma la narrazione di un sistema costruito intorno a un sentire comune che si interessa alla lentezza, a un tempo dedicato al pensiero e all’azione, alla sacralità dei rapporti umani, alla necessità di decentrare e cambiare prospettiva, alla passione, alla trasmissione della memoria, alla questione dell’identità nell’era digitale…

Un sentire comune che spesso viene nutrito e che si raccoglie attorno a un processo di creazione. Negli ultimi anni, le processualità artistiche sono diventate sempre più porose e multiformi, consentono all’artista di aprire un dialogo con il proprio sistema di riferimento intorno ai propri contenuti o linguaggi. Le modalità di entrare in relazione con il contesto, inoltre, sono sempre più diversificate nella forma della condivisione, così come nella centralità dell’atto performativo all’interno di un processo (laboratori, conferenze-spettacolo, installazioni multimediali, tavole rotonde, blog…).

@Margherita Demichelis

Tra gli artisti che hanno partecipato a queste prime fasi di lavoro sono emersi, infatti, approcci molto diversi. Nel lavoro di alcuni, il dialogo con una comunità è finalizzato all’atto performativo (per esempio Daniele Ninarello in My Heart Goes Boom); altri che aprono un dialogo con uno o più sistemi nel momento della creazione per nutrire un processo di produzione, che poi coinvolge esclusivamente artisti professionisti (Paola Bianchi in ELP); altri che aprono al contesto e sviluppano progettualità complesse che includono l’atto performativo senza porlo al vertice di una gerarchia di valore (Salvo Lombardo in Excelsior o Daniele Ninarello in Still Body Experience whit Digital Brain); altri a cui non interessa più l’atto performativo e magari affidano la sintesi di un’esperienza ad un altro linguaggio (o, addirittura, non se ne occupano perché interessati a creare un metodo).

@Valentina Bianchi

E non solo gli artisti sono al centro della discussione, ma anche l’intera comunità che ruota attorno ai progetti teatrali e culturali. A questo proposito è emersa la necessità di una diversa e più ampia formazione per i mediatori nel contesto di un più ampio ripensamento dei ruoli degli operatori, dei direttori artistici, e via dicendo. L’importanza di entrare in relazione con le istituzioni esistenti, di portare il cambiamento attraverso di esse e non solo ‘al di là’ (pubblica amministrazione inclusa).

A questo di affianca la nascita di nuove figure professionali come il community manager, un attivatore di comunità consapevole delle potenzialità del territorio; lo space manager, una figura al corrente della missione e della visione di un luogo, capace di sottolineare l’importanza degli spazi fisici, l’aggregatore di comunità, capace di leggere i movimenti già esistenti) e sistematizzarli, facilitando i contatti e gli scambi tra le realtà e le comunità operanti in un territorio.

Anche le modalità di coinvolgimento dei cittadini sono state oggetto di riflessione e sistematizzazione. Si passa dall’approccio mainstream, una fascinazione che gioca sul soddisfacimento di attese e aspettative, a quello legato a un processo educativo, fino all’intento di risvegliare un’immaginazione critica nelle persone, introducendo piccole interruzioni nel quotidiano che problematizzino il contesto urbano di riferimento.

Molto è il materiale sul tavolo di lavoro e altrettante le domande ancora aperte.
Come rendere questi impatti misurabili? Come costruire una legacy intorno a questo approccio più orizzontale e aperto?

Il prossimo laboratorio sarà il 30 di ottobre a Trento, in occasione di Y Festival e a seguire il 17 novembre a Milano in occasione del Festival Exister. Nei mesi successivi, sono previsti appuntamenti in altre città del centro e del sud Italia. La conclusione del progetto è prevista per aprile 2020 nell’intento di mettere al servizio dei policy maker il capitale culturale collettivo raccolto nel corso dell’anno.

Mara Loro