Se il teatro non è un atto estetico fine a se stesso, se deve parlare sempre al contemporaneo, se può ancora sconvolgere i valori e la morale correnti, allora lo spettacolo Au bord, diretto da Valentino Villa, non può deludere le aspettative. In cinquanta minuti molto intensi, sono portate in scena le elucubrazioni di una donna attorno a una delle fotografie che, nel 2004, rivelarono al mondo le torture subite nel carcere di Abu Ghraib, raffigurante una soldata americana che tiene al guinzaglio un prigioniero nudo. Al teatro Foce di Lugano, il 3 dicembre 2022, il pubblico assiste – in parte turbato, in parte attendendo una rivelazione che non arriverà – come se fosse costantemente sul bordo. Ma sul bordo di cosa? Proviamo a formulare tre risposte.
Au bord de l’image.
Nei primi minuti dello spettacolo, la proiezione della fotografia che ha ispirato la drammaturga Claudine Galea catalizza l’attenzione, benché non risulti pienamente accessibile: una serie di teli, posti tra il proscenio e il fondale, la sbiadisce e intorbidisce. Abbiamo l’impressione di potervi accedere soltanto attraverso le parole dell’unica attrice presente in scena: Monica Piseddu.
In netto contrasto è invece la successiva serie di fotografie e di video proiettati sui numerosi teli bianchi che delimitano lo spazio scenico: immagini nitide che, moltiplicandosi, sono visibili da ogni angolazione e riempiono una scenografia altrimenti bianca. Sicché, mentre la protagonista riflette con toni crudi sulle fotografie di Abu Ghraib – «queste immagini sono vere e la verità puzza» – noi ne vediamo altre, che rappresentano statue immacolate o pulitissimi corpi che godono di ottima salute, in totale antitesi con il monologo.
Au bord de l’horreur.
La protagonista osserva la soldata, scegliendo di ignorare il prigioniero nudo. L’assenza di commenti sulla vittima ha un suo peso specifico e riempie tutto lo spettacolo. La protagonista sta osservando una fotografia in cui un uomo è trattato come una bestia, in cui a un uomo è stata tolta la sua dignità di persona, eppure sceglie di non affrontare l’orrore. Tale mancanza ci turba profondamente: ci ricorda che, sebbene siamo a conoscenza degli orrori perpetrati dal mondo occidentale, spesso preferiamo rivolgere lo sguardo altrove. Questa volta, però, non siamo noi a scegliere di fingere: la fuga ci viene imposta e quindi risalta.
L’idea drammaturgica di sviscerare un’immagine senza però toccarne mai il centro viene seguita dalla regia di Villa. Mentre avanza nel suo monologo diretto e sfacciato, infatti, Monica Piseddu si spoglia, pur restando in parte celata dai molteplici teli della scenografia: la sua è una nudità velata, impersonale. Le luci fredde danno l’impressione che si muova a scatti, amplificando le sue pose e i suoi gesti già antinaturalistici – potremmo scambiarla per una finzione, per una proiezione della mente. Infine, quando l’attrice è quasi nuda e il suo corpo è esposto al nostro sguardo, ci sorprende che il viso sia ancora coperto dalla parrucca bianca: non lo vedremo mai.
Au bord du plaisir.
«La donna della fotografia mi turba in molti modi». Ennesimo scandalo: la soldata non è soltanto carnefice, bensì anche una donna desiderabile. Gran parte del flusso di coscienza della protagonista si basa infatti sul tema del piacere. Certo, lei non è che una spettatrice, quindi il godimento le è dolorosamente precluso: può soltanto limitarsi al desiderio. Invece la soldata compie l’atto sadico, e, compiendolo, gode: «è per il piacere che lo fa».
Lo spettacolo sembra interamente costruito per farci stare sul bordo: sul bordo dell’immagine di cui non possiamo davvero fruire; sul bordo dell’orrore più volte sfiorato, ma che non ci è concesso affrontare direttamente, in modo da elaborarlo e magari superarlo; sul bordo del godimento, con la creazione in noi di un’aspettativa – la visione del viso dell’attrice – che poi resta insoddisfatta. È quindi uno spettacolo torbido, dal quale usciamo, piacevolmente turbati, senza esserci mai entrati fino in fondo.
Andrea Mazzoni
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico LACritica