di Renato Gabrielli e Massimiliano Speziani

Visto al Teatro La cucina (stagione Teatro i) _ 7-24 ottobre 2010

La stagione del Teatro i, si è aperta nella sede dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini. Dopo un’anteprima che ha ospitato Il signor di Pourceaugnac dei ragazzi di Scampia guidati da Emanuele Valenti per il progetto Punta Corsara, è la volta di Questi Amati orrori, “anti-monologo per attore solo”, scritto da Renato Gabrielli e interpretato da Massimiliano Speziani.
Si consolida così la collaborazione con l’Associazione Olinda, che continua a credere nell’importanza del teatro come quotidiana costruzione di socialità e integrazione e che con il Teatro i condivide un comune sentire. Dopo l’estate di “Da vicino nessuno è normale” il teatro La cucina apre ancora le porte al pubblico, offrendo oltre ai cuscini anche le coperte per scaldarsi. E lo fa con uno spettacolo nato anche grazie al supporto di Olinda, che in questo progetto ha creduto fin dall’inizio offrendo la propria sede, il Paolo Pini, come spazio di lavoro a Gabrielli e Speziani, una coppia ormai consolidata. Dopo essersi formati alla scuola d’arte drammatica Paolo Grassi alla fine degli anni ottanta, attore e drammaturgo hanno iniziato a lavorare insieme regolarmente a partire dal 2001. Questi amati orrori nasce da quattro periodi di residenza presso gli spazi del Teatro La Cucina, tra il settembre 2009 e il giugno 2010, quando ha debuttato. Una formula fortunata, che ha consentito un lavoro a stretto contatto tra drammaturgo e attore e una scrittura scenica alimentata in modo diretto dall’improvvisazione e viceversa.
Tanto che, guardando il risultato, viene da chiedersi cosa sia improvvisazione e cosa copione e cosa arrivi prima dell’altro.

L’ex-mensa dell’ospedale psichiatrico è quindi la sede più adatta ad ospitare lo spettacolo. Unico aspetto negativo, la distanza dal centro città, che rischia di tenere lontani gli spettatori più pigri. Ma, ha rassicurato nella conferenza stampa di presentazione della stagione del teatro i Massimiliano Speziani con l’ironia che lo contraddistingue anche fuori dalla scena, “non fatevi spaventare dalla lontananza. Siamo disposti a fare servizio radiotaxi. Incluso nel prezzo del biglietto, puoi essere riaccompagnato a casa dall’attore o dal drammaturgo”.

Lo spazio spoglio del Teatro La Cucina, nella sua suggestiva e schietta semplicità, diventa così co-protagonista dello spettacolo. Un rumore di passi preannuncia l’arrivo di una figura indefinita, un “lui” che si nasconde tra i grossi pilastri della sala fino a entrare in scena, per un’ora di teatro vissuto sera dopo sera nella stretta e delicata relazione con il pubblico. Le luci non si spengono. Lo spazio dell’attore è un quadrato delimitato da una panca di legno. Un’unica apertura, l’ingresso. C’è una porta, ma non c’è una porta; c’è, o lo si può immaginare, uno zerbino. “Lui”, l’attore, si toglie le scarpe e dà inizio alla partita. Un gioco a due tra attore e pubblico, padrone e cane, giocatore e pallina, madre e figlio, uomo e donna, dottore e paziente, e ancora attore e pubblico. Uno spettacolo che vive di questo dialogo immaginario, di una relazione incorporea tra chi agisce e chi osserva, che poi non è altro che l’essenza stessa del teatro.

L’assenza di oggetti, memorie e sogni evocati dall’attore, il bravissimo Massimiliano Speziani, e una drammaturgia che alimenta il gioco, scritta da Renato Gabrielli. Un testo che si compone di confidenze costruite in un’ironica relazione con il pubblico, di ricordi o di vicende immaginate, che nel loro intreccio non arrivano a formare una storia compiuta. Creano quello che l’attore ha voglia di fare, o quello che il pubblico si aspetta, come egli stesso si domanda. E allora “lui” cambia faccia, cambia ruolo, cambia personaggio, cambia forma del racconto. Dalla gag alla canzone, dal dialogo al monologo, dalla narrazione alla personificazione, in un continuo rimando di sguardi con gli spettatori che osservano. “Lui”, l’attore, si sente come un vivo tra i morti o come un morto tra i vivi, proprio come quell’Orfeo che deve lasciare Euridice nell’Ade e separarsi, suo malgrado, da “questi amati orrori”.
Agisce isolato nel suo ring, cercando di capire di cosa sia fatta questa distanza tra “lui” e “l’altro”. A separarli, un limite che sembra invalicabile, ma che in realtà è solo un’asse di legno. Basta un salto per abbattere il muro immaginario e passare dall’altra parte.

Francesca Serrazanetti