«E ringrazia che ci sono io che sono una moltitudine» commentava Andrea Pazienza, nei panni di “Paz”, una delle sue tante incarnazioni fumettistiche. Una moltitudine che conteneva la generazione degli anni di Piombo, delle spade, dei movimenti studenteschi, delle loro contraddizioni. Andrea Santonastaso ne è pienamente consapevole, tanto che, nel suo Mi chiamo Andrea, faccio fumetti (scritto da Christian Poli, regia di Nicola Bonazzi), l’omonimia che lega i due disegnatori suona più come un ulteriore alter ego da aggiungere alla moltitudine.

Per Santonastaso, infatti, che di disegni viveva anche prima di dedicarsi al teatro, parlare di Pazienza coincide con l’esigenza di dedicare uno spettacolo all’amore per il suo mito, lungo una vita, con tutta la rabbia annessa per la sua morte prematura. L’intuizione del regista Bonazzi consiste nel far disegnare a Santonastaso quegli alter-ego fumettistici durante lo spettacolo, permettendo di osservare da vicino come la passione dell’attore-disegnatore cominci dallo studio della tecnica. «Sta facendo come Pazienza, parte dai punti sbagliati», commenta a bassa voce qualcuno dal pubblico dell’Archivio Attrezzeria Negroni, intento a decifrare anche i dettagli più irriconoscibili mentre vengono abbozzati. Che sia il naso adunco di Zanardi, il mantello di Pentothal o la sigaretta di Pompeo, gli eroi di Pazienza riempiono velocemente la lavagna al centro della scena, come fosse la pagina di un diario del liceo, un universo di bozzetti, stracolmo di fervore e caos.
Mentre percorre le tappe della vita di Pazienza e del suo percorso artistico, Santonastaso si muove su una seconda direzione narrativa incentrata su di lui, adepto di “Paz”, che si fa pervasivamente plasmare dalle avventure di quegli allegri spostati fin da giovanissimo. Al punto che tali letture alternative, che sovvertivano l’ordine e la pulizia dei fumetti classici, avevano colonizzato non solo il suo immaginario, ma anche la percezione dei tanti che aderivano alla cultura underground italiana degli anni ‘70 e ‘80. Ecco allora che, nello spostarsi dal racconto disegnato sulla lavagna alla biografia narrata da Santonastaso, sembra perdersi qualsiasi soluzione di continuità: le persone reali, gli Andrea e gli eroi di Pazienza si fanno creature simili, all’interno di una piccola collettività di anticonformisti. 

«Di me amate il riflesso, la memoria che sale dalle cose che tocco» riflette l’attore, incarnando ancora una volta le parole di Pazienza: e anche se quel mondo e i ragazzi che lo abitavano sono svaniti, rimane lo sguardo malinconico degli adulti che sono rimasti, invecchiati, ancora profondamente influenzati dal genio dell’artista. Qua e là, dove ancora c’è spazio, la lavagna si carica di figure sconosciute ai più, che rimangono all’ombra dei “ritratti” di Pazienza: sono i personaggi ideati da Santonastaso, che, nell’atto di essere disegnati, assumono una valenza drammaturgica centrale. Ne risulta il tentativo di affiancarsi alle proprie figure di riferimento e la consapevolezza di quanto sia rilevante anche il fallimento, almeno fintanto che un simile atto coniuga un’inossidabile coerenza a quel modello di vita. 

Come le diverse identità del fumettista, anche l’incontro tra i due Andrea rimane solo un’alternativa, una variante della realtà: la morte per overdose di Pazienza impedisce di avere un incontro dal vivo, un momento di riconoscimento definitivo, spingendo Santonastaso verso il teatro. Eppure, quel museo di immagini che rimane sulla lavagna e il pubblico di fedelissimi raccontano qualcosa di diverso. Con ancora in testa le parole di Sandro Penna con cui Santonastaso si congeda, lo spettacolo si conclude solamente al di fuori delle porte dell’Archivio: lì, l’attore e qualcuna di quelle “creature simili” hanno modo di scambiarsi poche parole commosse, cariche di un’istintiva ammirazione.

Leonardo Ravioli


in copertina: foto di Davide Aiello

MI CHIAMO ANDREA, FACCIO FUMETTI
di Christian Poli
con Andrea Santonastaso
regia di Nicola Bonazzi
produzione Teatro dell’Argine

Contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2023