Il territorio del Comune più esteso della Lombardia si gode dal finestrino dell’automobile, mezzo fondamentale per qualunque bresciano che si rispetti: 109mila imprese, più di mille banche, 760 tra centri commerciali e ipermercati, 437 concessionari, un enorme termovalorizzatore. Un panorama grigiastro spezzato dal verde dei campi coltivati ma anche dalla decadenza di siti industriali abbandonati e dalle viuzze di paesini dove si incontreranno sempre anziani che bevono il bianco al bar.

Io sono bresciana, anche se rimarrò sempre di provincia. Il paesino da cui provengo è a 3 chilometri dal centro. Una quarantina di minuti in autobus: di fatto un’eternità. E se è vero che l’orgoglio cittadino si estende per tutto il territorio, non include, anzi. Rimaniamo affezionati alle mura, forse anche per condizione storica, per quelle dieci giornate barricati nel Castello contro gli austriaci. È da lì che viene il soprannome la Leonessa d’Italia. Noi siamo fieri della nostra Leonessa, con la “sua” Mille Miglia, il Museo Santa Giulia, la Maddalena (la montagna dei bresciani), Montisola, il Garda, il vino Franciacorta, lo spiedo e l’aperitivo con il Pirlo – sconsigliabile confonderlo con lo Spritz. Siamo anche noti per essere insofferenti ai cambiamenti, in particolare se riguardano il tasso d’immigrazione, al nono posto in Italia. Il bresciano medio infatti ama la routine, il suo dialetto, la sua automobile (la benna), il venerdì in Piazza Arnaldo o nel più alternativo Carmine e il suo lavoro che non può occupare meno di dodici ore al giorno delle quali non si lamenta, anzi. Ma qualcosa nelle mura erette tra centro e periferia, tra bresciano e straniero, si sta finalmente sgretolando, ed è grazie all’arte.

Il murale in fondo a via Milano

Ich bin ein Brescianer. Un intrico di lingue e stili diversi dà forma a un enorme murale su una parete scrostata di un (quasi) parco in fondo a via Milano. Il murale si trova vicino alla zona dove Teatro19 ha deciso di stabilirsi. Un’area tagliata proprio da via Milano sulla quale si affacciano tre quartieri, Fiumicello, Primo Maggio, Porta Milano. Per Brescia Via Milano è arteria fondamentale quanto trafficata, un tempo porta d’accesso per i milanesi. Qui c’erano i caselli per i dazi, la dogana e il cimitero monumentale, il Vantiniano, realizzato nel 1813 seguendo le leggi della Repubblica Cisalpina. Per Brescia Via Milano è la Mandolossa, dove “stanno le prostitute”, e la Caffaro, cinquant’anni di storia cittadina nonché unico caso, con quello di Anniston negli U.S.A., di accumulo di materiale tossico in aree vicine al centro cittadino. Non ancora bonificata, la zona è oggi protagonista del progetto di riqualificazione – urbana, ambientale, sociale, artistica – Oltre La Strada che vuole renderla il quartiere più innovativo della Leonessa, tra teatro, musei, parchi, biblioteche e spazi di co-working.

È in questo contesto che tre partner – Teatro19, Centro Teatrale Bresciano e Teatro Telaio – hanno dato vita a “un’azione di accerchiamento della comunità” – come ha specificato Roberta Moneta di Teatro19 – a cominciare dalla cogestione del Teatro Ideal, ricavato da una porzione di un’ex fabbrica nell’ex cuore industriale bresciano. Due giornate, quelle del 29 e del 30 marzo, dedicate a due laboratori di Recovery nell’ambito di Metamorfosi Festival. Due incursioni nella città attraverso azioni e camminate comunitarie per scoprire e legare territori spesso lasciati a sé stessi.

Area industriale della Caffaro in via Milano a Brescia

Recovery City-Lab I: verso la rigenerazione umana

Attraversando la città da parte a parte, da via Milano verso sud-est, si arriva a San Polo. Un territorio di esodo dalle campagne negli anni Cinquanta per le cave, il cotonificio Schiannini, l’Alfa Acciai, le officine e le botteghe. Venerdì 29 marzo Teatro19 ha presentato qui uno “studio di contesto” del quartiere attraverso la condivisione del lavoro di un laboratorio di etnografia visuale del Politecnico di Milano e quella della residenza di Teatro19 nella Torre Cimabue. Zona di contrasti, San Polo venne ripensata e bipartita – San Polino fu la novità – attraverso un progetto degli anni Settanta dell’architetto Leonardo Benevolo. Doveva essere razionale e organica l’operazione diretta dal Comune su quell’area ad edilizia pubblica, non come lo sviluppo disordinato della maggior parte delle città italiane, frutto di interventi privati. Per ogni abitante 50 mq di verde pubblico, 18 di servizi pubblici e 9 di strade pubbliche. Ma è davvero solo una questione numerica? E le persone utilizzano realmente gli spazi seguendo la progettazione degli architetti e degli urbanisti?

A San Polo non c’è nemmeno una piazza – se non quella del fu centro commerciale Margherita d’Este – nonostante vi sia il numero più alto di abitanti a Brescia. Uno dei quartieri più verdi della città rimane immerso nell’inquinamento dell’Alfa Acciai. Le tipiche villette a schiera disegnate da Benevolo sono sovrastate dalle cinque Torri progettate dallo stesso: Tiziano, Michelangelo, Raffaello, Cimabue e Tintoretto. La Tintoretto è stata svuotata mentre nella Cimabue, la cui capienza è 500 persone, ne vivono più di 600. Al piano terra c’è la Casa delle Associazioni che tenta di dare spazio alle comunità della zona, promuovendo tutela ambientale e cultura della pace. È immersa in una sorta di desolante terzo paesaggio, proprio accanto alla ludoteca della Torre dove i ragazzi dei 196 appartamenti si trovano per il doposcuola. Il primo Recovery City-Lab è iniziato proprio qui: urbanisti, assessori e artisti hanno condiviso le loro pratiche nella consapevolezza che non sia possibile parlare di rigenerazione urbana senza una visione d’insieme. L’analisi di San Polo e San Polino, la residenza di Teatro19 nella Torre Cimabue, da cui è scaturito D.IO o dell’inferno quotidiano, il recovery co-lab del Politecnico di Milano sono tappe di uno stesso viaggio. Senza i cittadini gli urbanisti, gli psichiatri, i teatranti non possono fare nulla.

Torre Cimabue, San Polo

Recovery City-Lab II: il gesto politico

Il secondo giorno Teatro19 ha portato nell’area di via Milano una trentina di persone da tutta Italia per discutere del rapporto tra teatro e territorio in una visione trasversale di rigenerazione urbana. Il percorso attraversa via Milano con una passeggiata comunitaria a tappe: in ciascuna di esse si affronta un progetto di riqualificazione urbana. È così che emergono inaspettati punti di contatto tra realtà territoriali molto lontane tra loro come San Berillo a Catania, il Villaggio Portazza di Bologna e via Milano a Brescia.

Si parte dalla Sicilia nel Centro di aggregazione giovanile Vittoria Razzetti in via Milano. Trame di Quartiere, “team interdisciplinare” attivo dal 2015 racconta la sua esperienza a San Berillo, quartiere nel pieno centro storico di Catania, luogo della prostituzione popolare in tutta la Sicilia, abbattuto quasi in toto negli anni Cinquanta e ora al centro di un progetto di riqualificazione. La ghettizzazione del quartiere, figlia di un’operazione urbanistica di espulsione degli abitanti nel secondo dopoguerra, lo ha reso un luogo “sopravvissuto” in cui storia, memoria e presente si fondono in un’identità molteplice ed evanescente. I volontari di Trame di Quartiere, convinti che attraverso “l’animazione culturale si arrivi alla rigenerazione urbana”, hanno riconosciuto in San Berillo, nel suo tessuto sociale e storico, non un territorio escluso, ma un luogo fortemente identitario, seppur instabile. Ascoltando, facendo presidio del territorio, costruendo drammaturgie collettive e documentari, hanno portato i catanesi, i migranti, le prostitute che lì vivono a fidarsi. E, così, a iniziare a riappropriarsi di un luogo quasi dimenticato.

San Berillo a Catania

Da Catania “si passeggia” fino alla periferia est di Bologna raccontata da INstabile Portazza, nella Ludoteca Arcirgazzi, seconda tappa del viaggio in via Milano. Lo stabile di Portazza si colloca in una zona residenziale fin troppo tranquilla: costruito nel 1962 come centro per gli abitanti del quartiere, era in decadenza dal 1984. Un progetto quinquennale artistico e urbanistico nacque nel 2014 dalle chiacchiere tra vicini di casa. L’idea: recuperare l’ex Centro Civico abbandonato attraverso la creazione di un laboratorio di co-progettazione dello spazio. A volte, l’unione fa davvero la forza. Oltre 30 organizzazioni territoriali e 200 cittadini hanno risposto alla chiamata e alle domande di INstabile Portazza: “cosa vuoi imparare?” “Quali competenze puoi mettere a disposizione del progetto?”. La rigenerazione urbana si è fatta pratica, gesto condiviso. Come avviene in teatro, dove il gestus contiene in sé un valore politico che, sempre, passa attraverso una comunità.

Lo stabile di Portazza a Bologna in una giornata di festa organizzata da INstabile

Un teatro che si fa qui gruppo di persone capaci di chiamare all’azione, pratica artistica che ritorna alla sua origine sociale e collettiva. L’ha compreso bene Teatro19 che in via Villa Glori, ultima tappa della giornata, ha parlato di arte come “malta cementante” rivolgendosi in particolare ai “tre quartieri di Brescia vicini socialmente, ma diversi storicamente”, Fiumicello, Primo Maggio e Porta Milano appunto. Essere capaci di attraversare – con il corpo e con la mente – rende tangibili bisogni sopiti e opportunità inaspettate. L’ascolto di una comunità che non è mai unica né perduta e a cui l’azione creativa, che sia teatrale, architettonica o ibrida, può ridare consapevolezza, è un atto politico e necessario.

Un territorio non ha, del resto, una singola identità, non racconta un’unica storia, così come chi vi abita, o chi lo attraversa. Un territorio non esiste a priori, senza l’attraversamento o il presidio. Su quel murale lungo cinquanta metri in fondo a via Milano “io sono bresciano” è scritto in almeno dieci lingue diverse: la Leonessa, come forse ogni altro luogo, è terra di contraddizioni. Teatro19 fin dal 2004 ha iniziato a lavorare per riunire realtà storica e arte, benessere del territorio e salute mentale, psichiatria e service design, individuo e comunità. Non importa che lingua si parli, ma la consapevolezza di chi si è, di ciò che si è portati a fare. Un detto arabo recita “parla con ogni uomo, con la sua lingua”, ed è lì, tra la circolarità di contraddizioni e fraintendimenti, che nasce il gesto politico, responsabile e condiviso.

Camilla Fava


Tavoli di lavoro a Metamorfosi Festival

venerdì 29 marzo
RECOVERY CITY LAB – Casa delle Associazioni – San Polo, Brescia

sabato 30 marzo
RECOVERY CITY LAB – Via Milano, Brescia