«Questa è la storia di come il reggae ha cambiato il mondo».
Così Duane Forrest, canadese di origini giamaicane, introduce il suo spettacolo Bob Marley: how reggae changed the world sul piccolo palco dell’Ostello Bello, a pochi passi dalla stazione Centrale di Milano. Per la seconda volta al FringeMI, il carismatico Duane porta in scena un concerto, attraverso la riproposizione di vicende biografiche legate al suo passato che si alternano a momenti di riflessione esistenziale e a performance musicali dal forte valore evocativo. L’artista siede su uno sgabello, poggia lo spritz sul pavimento e imbraccia la sua chitarra elettrica; poi guarda il pubblico e sorride. La gentilezza dei modi e il clima amichevole rendono l’atmosfera calda e accogliente per gli spettatori, che reagiscono e interagiscono con Duane, cantando insieme a lui e rispondendo alle sue domande. Quello del musicista è un invito a essere presenti attivamente, a condividere con lui lo spazio e a essere testimoni di una storia complessa, dal forte impatto politico: quella di Bob Marley e del reggae.
«Il reggae nasce come un tipo di danza, influenzata dal country». È una premessa che serve all’artista per illustrare a un pubblico – tendenzialmente di europei bianchi – le vicende che hanno dato vita a uno dei generi più influenti nel panorama musicale internazionale e che affonda le proprie radici in Giamaica, isola che per decenni è stata centro della tratta degli schiavi africani nel continente americano. Il reggae rappresenta quindi molto più di uno stile o di una serie di accordi: ha implicazioni politiche, sociali e spirituali che spesso vengono trascurate. Come dice lo stesso Duane: «è la voce della resistenza» e, per questa ragione, è profondamente intrecciato al tessuto culturale delle popolazioni caraibiche e si trasforma in uno stile di vita totalizzante, che va oltre la semplice componente musicale. Duane porta i rasta, come Bob Marley, un’acconciatura che si fa latrice di memorie ed espressione orgogliosa di una determinata appartenenza; racconta di aver preso la decisione da ragazzo quando, dopo essersi stirato i capelli e averli tinti di blu, forse in un vano tentativo di integrarsi in una classe di ragazzi bianchi, se li rasa completamente. Il peso di questa scelta, così apparentemente superficiale, rappresenta in realtà il tentativo del giovane musicista di riconnettersi alle sue radici. E, ancora una volta, è proprio la musica di Bob Marley a ispirare il gesto. I testi delle sue canzoni diventano per Duane la chiave di accesso a un passato di cui ignorava l’esistenza e una sorgente di informazioni fondamentali per la sua formazione umana e artistica. Buffalo Soldier gli permette di cogliere l’importanza delle storie mai scritte degli schiavi africani, costretti a combattere per l’esercito statunitense perché: «If you know your history / Then you would know where you coming from». No Woman, No Cry, invece, gli fa conoscere le condizioni di vessazione subite dalle donne giamaicane nelle government yards di Trenchtown, le case popolari costruite nell’area di West Kingston in Giamaica negli anni Cinquanta del Novecento. Bob diventa, quindi, per il giovane artista una fonte totale d’ispirazione: da lui Duane impara ad apprezzare il senso di una comunità sociale unita e solidale; un’utopia collettiva veicolata dalla musica che supera ogni pregiudizio e trasforma la lotta per i diritti in un messaggio universale di pace e cooperazione. I testi di Marley invitano a farsi testimoni della storia del popolo giamaicano e a cantare insieme le «canzoni di libertà» che incarnano il suo riscatto sociale, la sua redenzione. Queste sono le parole che il cantante usa in Redemption, brano che chiude anche lo spettacolo/concerto di Duane e che divengono un invito al pubblico a emanciparsi dai propri limiti perché: «None but ourselves can free our minds».
Claudio Favazza
in copertina: foto di Davide Aiello
BOB MARLEY: HOW REGGAE CHANGED THE WORLD
di e con Duane Forrest
produzione Produzione John McGowan
Contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2024