di Rimini Protokoll
Zona K, Milano _ 17 settembre-25 ottobre 2015

Premiati dalla Biennale di Venezia 2010 con il Leone d’argento, i tedeschi Rimini Protokoll sono colpevolmente assenti dalle programmazioni italiane. Ed è un peccato: si tratta di uno tra i più interessanti ensemble della scena europea. Indagini sullo spazio urbano, performance che giocano senza superficialità sui nuovi dispositivi tecnologici, progetti dalla valenza esplicitamente politica: fin dalla fondazione (nel 2000) il lavoro del gruppo si è distinto per rigore formale e originalità di prospettiva. A portare per la seconda volta a Milano i Rimini Protokoll – e a farsi carico dei non esili oneri organizzativi – è Zona k, una realtà piccola ma attenta alle esperienze artistiche al confine tra diverse discipline. Remote Milano è una passeggiata per la città pensata per cinquanta spettatori guidati da una voce in cuffia: un’ora e trenta per smarrirsi nella propria città, guardarla con altri occhi, scoprirne angoli sconosciuti, perdere il controllo. A tutto questo allude il titolo: i fruitori della perfomance vengono indirizzati “da remoto”, come automi telecomandati; e allo stesso tempo il percorso mira a delineare una geografia nascosta, liminare, lontana dall’ordinario.

Non sono poche le esperienze performative che, negli ultimi anni, si sono mosse in prospettive analoghe (e non è certo una novità l’utilizzo stesso di cuffie come motore dell’azione); ma i Rimini Protokoll mostrano particolare coerenza e consapevolezza nella creazione della partitura drammaturgica. Il dispositivo tecnologico non si limita a essere strumento d’azione, ma diviene centro nevralgico dell’intera costruzione testuale, vero e proprio nodo significante. Ed è proprio da qui che scaturiscono gli interrogativi più interessanti: qual è il rapporto tra l’uomo e la macchina? Trattiamo i nostri device come oggetti inanimati o impostiamo con questi – ben oltre qualsiasi razionalità – una relazione di tipo affettivo? E qual è la connessione tra tecnologia e memoria?

Molte altre sono le questioni messe in campo da quello che a prima vista potrebbe sembrare un semplice divertissement, un gioco ammiccante e seduttivo per un pubblico che ama essere coinvolto attivamente. Remote Milano offre un’esperienza apparentemente intima, privata, esclusiva: ogni spettatore è chiamato all’ascolto individuale della voce in cuffia, quasi a ricalcare la prassi di una normale conversazione a due. Ben presto, però, ci si accorge di essere costantemente in relazione con l’altro, con gli altri, con l’“orda”, il “gregge”, il “gruppo” (per riprendere alcune delle definizioni chiamate in causa dal testo). C’è di più: all’opposizione tra se stessi e il gruppo si affianca quella tra il gruppo e il resto dei cittadini, che guardano ora stupiti ora incuriositi la spiazzante occupazione di massa degli spazi urbani. Ed ecco che gli spettatori si scoprono – loro malgrado oppure con un pizzico di compiacimento – attori di uno spettacolo che ha come palcoscenico l’intera città. È lo spettacolo a sovrapporsi per un istante alla realtà, o è piuttosto la realtà a trasformarsi in performance?

Maddalena Giovannelli