di Anagoor
regia di Simone Derai
visto a Milano a Teatro i_dal 3 al 5 febbraio 2017
Tutti li vogliono, gli Anagoor. Sono su una cresta d’onda che dura ormai da diversi anni, e che non sembra destinata a infrangersi velocemente. Il gruppo, nato a Castelfranco Veneto nel 2000, e composto da Simone Derai, Paola Dallan, Marco Menegoni, porta avanti un’accurata e approfondita analisi del linguaggio inteso in senso lato e declinato in tutte le sue possibili varianti.
Da Virgilio Brucia alla lezione pasoliniana L’italiano è ladro, l’operazione del gruppo è, per così dire, chirurgica: a una decostruzione del testo, innestato con riferimenti al contemporaneo, segue la sua ricomposizione attraverso l’impiego di un linguaggio inedito influenzato dai nuovi media e dall’attualità. Una poetica unica nel panorama nostrano che è valsa al gruppo il Premio Rete Critica 2016 per il miglior spettacolo con Socrate il sopravvissuto. Come le foglie.
Ora gli Anagoor tornano alle origini con Rivelazione – sette meditazioni intorno a Giorgione, una rielaborazione della Tempesta, spettacolo che nel 2009 ha ricevuto la Segnalazione Speciale al Premio Scenario e che li ha consacrati e presentati al grande pubblico.
Marco Menegoni è solo sul palco; completano la scena un microfono, un alto tavolino con alcuni libri e due schermi, di media grandezza e disposti in verticale alle spalle dell’attore. Come questi oggetti fanno presagire lo spettacolo prende la forma di una lezione per immagini sul Giorgione: del pittore veneto del Cinquecento morto in miseria e solitudine in una Venezia stremata dalla peste, gli Anagoor portano in scena un’attenta e rigorosa indagine, fatta di studi su libri e analisi delle opere, per cogliere l’immaginario dell’artista e interpretarne il segno.
Sette capitoli, o rivelazioni, per scoprire l’umano oltre il didattico e per portare alla luce il tragico celato nell’idillio. Si svela così una poetica più cruenta di quanto non risulti a prima vista, o di quanto le lezioni di storia dell’arte del liceo lascino intendere: osserviamo il tragico che si cela in un tronco d’albero, il vivo senso di morte in un medaglione inciso, e la profonda angoscia per il futuro nella rappresentazione dei tre profeti. Giorgione, in piena età di rinascita e crescita, non solo non vede prospettive, ma ridicolizza le ambizioni, mettendo in guardia da una apocalisse impellente. Cosa fare e dove cercare la luce per cancellare il senso di angoscia per una morte che comunque spetta a tutti? Forse, auspicare una palingenesi attraverso la bellezza, o meglio, servirsi della bellezza per ridare spessore al bisogno di dignità dell’uomo.
Giulia Alonzo