Corre Roberto Zucco, corre verso la luce del Sole, capolinea accecante che promette gloria e annientamento. E nel suo incedere di rinoceronte, di convoglio furioso e “inderagliabile”, tutto travolge, tutto schianta, perché dell’umano il suo slancio non sa che farsene, buono soltanto per essere sacrificato e ridotto in poltiglia. È solamente col Sole Invitto – avversario, traguardo, ritorno a casa – l’unica competizione possibile, l’unica battaglia che valga la pena di essere combattuta.
È un eroe tragico quello che Bernard-Marie Koltès costruisce a partire dalle cronache del natural born killer Roberto Succo – sette vittime e molte efferatezze tra il 1981 e il 1987 – un protagonista dal destino segnato, inscritto nella sua stessa esistenza, che non richiede perciò spiegazioni di sorta. Avvolto dal suo autore nell’aurea misterica del culto di Mitra, Zucco è protagonista alieno e inavvicinabile alla maniera di Amleto – l’incipit sulle mura delle prigione ne è esplicita citazione – ma a differenza del collega shakespeariano fugge ogni psicologismo preferendo mostrare muscoli e pragmatica, come il duro di un hard-boiled americano. Difficile per ogni regista cavalcare il testo che cerca di contenerlo: frammentaria, recalcitrante e irregolare, l’opera di Koltès è tenuta insieme esclusivamente dal viaggio picaresco del suo eroe criminale, capace di far detonare al suo passaggio le contraddizioni e la natura feroce del vivere contemporaneo.
Una sfida cercata e affrontata con “fibra” registica da Licia Lanera, che, non contenta del già alto coefficiente di difficoltà dell’impresa, rilancia, portando in scena Roberto Zucco insieme ai diciotto neodiplomati della Scuola del Teatro Stabile di Torino. Non un saggio, si noti bene, ma uno spettacolo tout court, inserito a pieno titolo nella programmazione del Festival delle Colline Torinesi. Un lavoro con un impianto autoriale ben definito fin nel suo imprinting: “Ho cercato un testo i cui protagonisti fossero giovani, ma che non fosse però una celebrazione della giovinezza, piuttosto il contrario. Qualcosa che parlasse delle inquietudini, degli errori, delle cadute”, ma anche, continua la regista pugliese nelle note di regia, un testo che facesse i conti con il “voyeurismo dell’orrore”, “la pornografia in diretta” dei media contemporanei che spesso trasformano assassini e criminali in celebrità.
E in effetti, ad attraversare la scena di Roberto Zucco è tutto un campionario di umanità disgregata a cui lo spettatore assiste come a una lunga sfilata: papponi e prostitute, vecchi che brancolano nel buio della metro, donne alla disperata ricerca d’amore, giornalisti cinici e assetati di sangue. Rappresentanti di una società frantumata, che guarda alla violenza e al sadismo come interazione naturale, estensione diretta del proprio farsi a pezzi quotidiano. Di qui la scelta di Lanera di un apparato simbolico metonimico, a cominciare dal coro di prostitute della Piccola Chicago (ancora un riferimento indiretto al “noir”!), che coprendosi il seno, esibiscono invece sfrontatamente il sesso, l’unica parte che determina il loro valore economico/sociale. E che dire poi della processione allucinata in cui gli interpreti indossano teste di rinoceronte, riferimento ferino (Tiezzi docet?) che con un doppio salto mortale chiama in causa il toro della religione mitraica aggiornato però alla passione di Koltès per l’Africa? Si potrebbe andare avanti fino a perdersi: la goccia che cade ossessiva, scandendo il tempo all’intera rappresentazione è ancora riferimento a Mitra o alla società liquida di Bauman? La bolgia grandguignolesca sulle note di Jannacci è lo zoo grottesco e infernale verso cui siamo tutti diretti?
Nel carnevale nero di Koltès/Lanera tutto vale, tutto entra: un’ipertrofia che, anche teatralmente, si traduce in vitalismo fagocitante, dove sbavature e ridondanze convivono col generoso impegno degli ormai ex-allievi del Teatro Stabile, con l’efficacia di molte scelte registiche, con il coraggio di cercare un ordine nel disordine. Del resto se c’è un insegnamento ricorrente nel “poliziesco” americano alla Hammett o alla Chandler, di cui l’opera di Koltès è in qualche modo debitrice è proprio la consapevolezza che la re-istituzione dell’ordine originale è ormai impossibile: il cielo sopra le nostre teste rimane aperto, come enigma tetro e irrisolvibile, la sconfitta è quasi una certezza, eppure, anche nel disincanto, vale sempre la pena tentare.
Corrado Rovida
Roberto Zucco
regia di Licia Lanera
con gli attori diplomati della Scuola del Teatro Stabile di Torino: Nicholas Andreoli, Noemi Apuzzo, Federica Dordei, Anna Gamba, Alfonso Genova, Jozef Gjura, Noemi Grasso, Riccardo Livermore, Giulia Mazzarino, Riccardo Micheletti, Riccardo Niceforo, Giulia Odetto, Benedetta Parisi, Pierpaolo Preziuso, Federica Quartana, Elvira Scorza, Valentina Spaletta Tavella, Andrea Triaca
luci di Vincent Longuemare
assistente regia Danilo Giuva
Visto al Teatro Stabile Torino – Teatro Gobetti, nell’ambito del Festival delle Colline Torinesi Torino Creazione Contemporanea_12-17 giugno 2018