C’è un momento che descrive meglio di ogni altro la regia shakespeariana di Mario Martone: Giulietta, un istante prima di ingoiare il filtro mortifero di Frate Lorenzo, è impegnata ad agganciarsi con perizia un moschettone e una corda al fianco. Non sveleremo quello che accade qualche minuto dopo, per non rovinare la sorpresa a chi ancora deve vedere lo spettacolo; ma è bene sapere che l’unico obiettivo di quell’ingombrante azione scenica, che assorbe per alcuni, lunghi istanti tutta l’attenzione dell’attrice, è preparare l’immagine plastica che seguirà.
Questa istantanea è, per certi versi, un’ottima metafora di tutto lo spettacolo: le buone idee, le energie degli attori, la lettura dell’originale vengono asservite alle esigenze della mastodontica struttura scenica, e finiscono con il restarne soffocate. Proprio come accade, talvolta, tra gli ingombranti gangli dell’opera lirica.
A occupare interamente il palco è il mirabolante allestimento di Margherita Palli: un ecosistema arboreo di tronchi, fronde e radici che ricorda da vicino la foresta notturna di selvagge pulsioni del Sogno di una notte di mezza estate. In questo suggestivo universo sospeso si muove – a tratti con agio, a tratti un po’ guardingo – un cast di oltre venti attori, che sbucano tra gli alberi e provano a restare in equilibrio ad alta quota. Ma torniamo a Giulietta e a Romeo. Martone, con intelligente intuizione, ha scelto di affidare la storia d’amore più famosa del teatro occidentale a due adolescenti (Anita Serafini ha quindici anni, Francesco Gheghi diciannove). Chi può raccontare meglio quel sentimento fulmineo a cui bastano pochi istanti per accendersi e che sa diventare spavaldo fino a fronteggiare la morte?
Molte delle migliori esperienze in questo campo, però, hanno insegnato che per far sprigionare la potenza incendiaria degli adolescenti sul palco è necessario partire da loro, raccoglierne le parole, lasciare che drammaturgia e regia si modifichino per accompagnarli (mai viceversa). In questo caso, invece, pare che Gheghi e Serafini siano chiamati a recitare come giovani attori d’accademia, rincorrendo lunghi brani di testo imparati a memoria, rispettando una partitura di movimenti talvolta complessa e macchinosa (provate a declamare Shakespeare in bilico su un ramo!), e persino recitando in playback in alcuni passaggi. Di quella fame di vita – un po’ goffa, un po’scomposta – che caratterizza i corpi adolescenti resta poco, addomesticata dalle necessità concrete di una enorme produzione. Anche il resto del cast, per la verità, pare affaticato dalla struttura-monstrum dello spettacolo: si salvano, per esperienza, Michele Di Mauro (un violentissimo padre Capuleti), Alessandro Bay Rossi (Mercuzio) e Licia Lanera, che dà vita a una balia (qui ripensata come “zia Angelica”) energica, maleducata, vitale.
La lunga e multiforme storia dei classici in scena ci insegna che qualunque strada può dare vita a risultati interessanti, se intrapresa con rigore e coerenza. Straniamento, enfasi della distanza, attualizzazione, riscrittura, ricerca dell’universale: vale tutto, purché il processo sia condotto senza sconti. Non si può dire che Mario Martone, con il suo Romeo e Giulietta, sia stato incerto sulla via da prendere. Con tutta evidenza – e questo lo si sottolinea nelle molte recensioni positive uscite – il regista ha deciso di rivolgersi ai giovanissimi, agli spettatori delle serie televisive e utenti degli smartphone, a noi dall’attenzione intermittente e dall’immaginario saturo. Già, ma come? Con un cast giovane, lo si è detto (oltre a Romeo e Giulietta, sono stati coinvolti moltissimi giovani diplomati del Piccolo). Con una nuova traduzione, poi. Il testo (poi ulteriormente adattato) è stato infatti affidato a Chiara Lagani, drammaturga del gruppo Fanny & Alexander e traduttrice di Lewis Carroll per Einaudi. Il risultato è un copione di registro alto ma che non ha paura di immergersi nel pluristilismo e nel plurilinguismo di Shakespeare, firmato da un’autrice che – lo si sente – ben conosce le esigenze e il corpo degli attori e la parola scenica.
Traguardo chiaro e strumenti giusti, dunque: peccato che per arrivare si sia percorsa la via più breve, la più scontata, quella che poi fa perdere il gusto della scoperta. I cocktail e i test Covid per la festa Capuleti, le magliette dei Nirvana, i combattimenti in stile Bollywood, gli hamburger sgranocchiati da Romeo, i bar con i camerieri paiono, più che una profonda azione rigenerante, un’iniezione di botox che finisce per far sembrare il volto dell’opera ancora più vecchio.
«Le operazioni di frettolosa analogia sui classici non mi hanno mai interessato», rifletteva Ronconi, «dire “ma quanto ci sono vicini!” mi appare un gesto maleducato». Chissà se ha sbirciato il palco dello Strehler, da qualche parte, nei giorni del suo novantesimo compleanno.
Maddalena Giovannelli
in copertina: foto di Masiar Pasquali
ROMEO E GIULIETTA
di William Shakespeare
traduzione Chiara Lagani
adattamento e regia Mario Martone
scene Margherita Palli
costumi Giada Masi
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
video Alessandro Papa
regista assistente Raffaele Di Florio
assistenti alla regia Giulia Sangiorgio, Michele Bottini
casting Paola Rota
con (in ordine alfabetico) Alessandro Bay Rossi, Gabriele Benedetti, Leonardo Castellani, Michele Di Mauro, Raffaele Di Florio, Emanuele Maria di Stefano, Francesco Gheghi, Jozef Gjura, Lucrezia Guidone, Licia Lanera, Anita Serafini, Benedetto Sicca, Alice Torriani
e con Leonardo Arena, Giuseppe Benvegna, Francesco Chiapperini, Carmelo Crisafulli, Giacomo Gagliardini, Hagiar Ibrahim, Francesco Nigrelli, Libero Renzi, Federico Rubino
e gli allievi del Corso Claudia Giannotti della Scuola di Teatro Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano
Clara Bortolotti, Giada Ciabini, Ion Donà, Cecilia Fabris, Sofia Amber Redway, Caterina Sanvi, Edoardo Sabato, Simone Severini
voce registrata Michele Bottini
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa