di Lisa Moras
regia Lisa Moras e Marco Bellocchio
visto a Campo Teatrale_ 8-12 aprile 2015
La navigazione web, i post, i link, i commenti, i wiki, i tweet, i poke, le foto e le amicizie virtuali. La realtà viene filtrata dallo schermo di un monitor e per alcuni diventa sempre più lontana. C’è chi nel web riesce a compiere quello che la società non gli consente: raggiungere l’affermazione della propria identità all’interno di una realtà altra, quella virtuale, che ha regole e condizioni a sé. È così per gli Hikikomori: il termine – che letteralmente vuol dire “stare in disparte” – viene usato per indicare chi ha deliberatamente deciso di isolarsi dalla vita sociale, rifugiandosi sul web.
Rooms 2.0, Drammaturgia per attrice e coro web, già vincitore del bando La città infinita 2014 e tra i finalisti Festival Direction under 30 2014, è una fresca rappresentazione di questo fenomeno. Lisa Moras, giovane drammaturga friulana, si confronta con un tema caldo, molto trattato e allo stesso tempo arduo da capire per chi non vive la generazione 2.0. E il risultato si distingue per la sua autoironia che rende l’ensemble tristemente realista e mai banale.
Olivia, la protagonista, unica attrice in scena interpretata dalla brava e intensa Elisabetta Mossa, esce da una grande tenda posta al centro del palcoscenico. Odia tutti. Ce lo dice la sua maglietta. Un paio di slip neri e un cerchietto con orecchie da gatto, di quelli che si vedono indossati dalle ragazze giapponesi, completano il look. Olivia, per gli amici del web OlivettaInbox, ha deciso di chiudersi in casa, non vedere nessuno, neanche il tecnico della lavatrice, non parlare con nessuno, se non tramite mezzi tecnologici, e vivere come un hikikomori, isolata dalla società per un tempo non definito. Posta le proprie foto, i propri video, i propri commenti, e condivide la vita vissuta dentro una stanza tramite il proprio computer. Ha successo: lo dicono le ventimila visualizzazioni. Il format piace, e Olivia continua. Dodici lampadine, posizionate sul palcoscenico come un coro, che si accendono e rumoreggiano quando arriva una notifica sono l’unico segno vitale nell’ambiente.
L’estate, l’autunno, l’inverno, nulla cambia: un raffreddore, il timore della vicina uccisa, il capodanno. Niente. Imperterrita, Olivia sta nella sua tenda, a vivere il vuoto. Ci vorrà qualcosa di vero, di reale, di determinante per convincerla a prendere la tenda e a caricarsela in spalla.
Le battute veloci, schiette e crude e la scenografia colma e vuota allo stesso tempo dell’Io-tenda sono specchio del più intimo dei flussi di coscienza. Ma è il ritmo il punto di forza dello spettacolo. Alberto Biasutti, il sound designer, ha creato l’armonizzazione congeniale all’insieme: un’unica canzone, Sognando, di Don Backy e interpretata da Mina, ha scandito il tempo dell’intera organizzazione scenica. Un incontro avvenuto casualmente ma che calza a pennello con la messa in scena.
Giulia Alonzo