testo di Edoardo Erba
regia di Serena Sinigaglia
visto al Teatro Verdi di Milano_4-23 aprile 2017
Mentre Rosalyn, spettacolo tratto dall’omonimo testo di Edoardo Erba, volge verso un epilogo spiazzante e inatteso, alla mente riaffiora un verso di Alceo – poeta arcaico legato a Saffo, noto per i suoi canti conviviali. “Vino strumento per vedere dentro l’uomo”. Mezzo cioè per guardare la natura umana in trasparenza, in profondità, svelandone il mistero e, allo stesso tempo, esaltandola, qualunque essa sia. A colmare la distanza tra i due poli, cronologicamente distanti, il vasto e colto universo immaginifico di Serena Sinigaglia, capace di mettere in campo le opposte e laceranti spinte che si annidano nell’anima, trasfigurandole nelle maschere di Dioniso, dio indomito del molteplice e della metamorfosi e di Penteo, campione di hybris de le Baccanti.
Del resto la relazione istituita con la tragedia di Euripide, da tempo centrale nel lavoro della regista (Baccanti; Eros e Thanatos; Laboratorio di Regia teatrale, ATIR 2016), restituisce il senso più profondo del mistero che attraversa la moderna vicenda noir di Rosalyn e che Sinigaglia ha fissato icasticamente in una delle principali cifre simboliche della forza dionisiaca e della sua rivelazione: il grappolo d’uva. All’energia sommersa e dilagante, seducente e distruttiva racchiusa nel suo succo si lega a doppio filo il congedo della protagonista dello spettacolo, Rosalyn, e della sua tanto diversa compagna di viaggio, Esther.
L’imponderabile fa incontrare la semplice e illetterata Rosalyn (Marina Massironi) con Esther (Alessandra Faiella), una scrittrice arrivata a Toronto per presentare il suo libro. Tra questi mondi antitetici, che ricordano quelli delle protagoniste de La Porta, si innesca una complicità fatta di giochi esilaranti, a tratti di irresistibile comicità, di attrazione e di pericolosi rovesciamenti, dei quali Faiella e Massironi sono ottime interpreti. La seduzione tra le due donne non passa solo dagli occhi ma, ancora più potente nasce dalla parola scritta, capace di far compiere alla protagonista del titolo un vero atto di ribellione nei confronti del proprio compagno, violento e bugiardo. E il tema della violenza sulle donne è senza dubbio centrale nel testo di Erba, tanto da diventare il motore primo del meccanismo giallo: è nell’incontro delle due donne in commissariato e nei flashback che scandiscono l’interrogatorio (più maieutico che poliziesco) di Esther che si definiscono i ruoli. Nel fluido tempo della rievocazione entrambe sembrano figure chiare e definite nei propri caratteri, eppure, come ne il celebre Paura in palcoscenico di Hitchcock, la dimensione del ricordo diventa più scivolosa e ingannevole che realmente esplicativa. Nello spettacolo firmato dalla Sinigaglia quasi ogni parola dice infatti altro: ogni granitica certezza, ogni salda memoria, si liquefa. Come nel miglior giallo che si rispetti, per seguire il flusso dei rovesciamenti bisogna tenere l’attenzione sui dettagli, sulle sfumature. E in questo, Faiella e Massironi sono guide perfette. Lo stesso luogo della storia, la scacchiera su cui si muovono Rosalyn ed Esther, riflette questo senso di instabilità e vertigine: il suo piano inclinato è intaccato da crepe e abbassamenti di superficie, interrotto da lastre mancanti, che lasciano intravedere pareti erose, scure, – quasi si trattasse di assenza di materia – che sembrano emanare un’energia arcana (questa la scenografia ‘parlante’ di Maria Spazzi!). Questo luogo è spazio dell’animae mentre lo attraversa, Esther guarda Rosalyn, ma non la vede realmente. Sarà inevitabile, tuttavia , andare fino in fondo, cercare una comprensione, una presa di coscienza. . Non resta dunque che smettere i propri abiti e – come Penteo – indossarne altri: riconoscere il “seme”, la propria “vera natura”, spesso destabilizzante e inconfessabile, dalla quale però non si può mai fuggire.
Raffaella Viccei