Sapete cos’è Roseline? La comunicazione di questa grossa produzione a Milano è iniziata da mesi con un messaggio misterioso che si è impresso su marciapiedi e muri della città, insieme a uno strano disegno che ne identifica il logo e la scritta “Where is Roseline”?
Alla domanda sul “dove” si risponde facilmente. È nel palazzo Calchi Taeggi, corso di Porta Vigentina, MM Crocetta: un edificio neoclassico in parte in disuso, che accoglie un asilo, un auditorium, una biblioteca, ma abbandonato nei piani superiori dove nei mesi invernali vengono ospitati i senzatetto per l’emergenza freddo. All’ingresso accolgono il pubblico dei signori in abito scuro, quasi all’interno si svolgesse un evento esclusivo. Esclusivo un po’ lo è (se non altro per il prezzo del biglietto, 50€ più prevendita) ma la richiesta, appena si varca la soglia del giardino e si entra nella corte interna, è quella di abbandonarsi, di perdersi negli oltre 3000 mq di spazio scenico recuperati per l’occasione.

Dire cos’è è meno immediato. Per farlo possiamo partire dal nome, che è l’anagramma di Elsinore, la città del castello di Amleto da cui la storia prende ispirazione. La drammaturgia è infatti lineare nella sua struttura, per quanto articolata su fili narrativi legati ai singoli personaggi e frammentata dal punto di vista spaziale: le scene che si svolgono in contemporanea ai diversi piani e nelle diverse ali del palazzo, il passaggio degli attori, i dialoghi, gli indizi seminati nelle stanze compongono una storia che lo spettatore può fruire solo in parte, ma che può mettere insieme per pezzi, aiutato dal foglio che gli viene consegnato all’ingresso con i profili dei personaggi e le relazioni che li uniscono l’uno all’altro.

Al centro del progetto (una sorta di “manifesto artistico” che segna il debutto del suo ideatore, Paolo Sacerdoti, 24 anni, in arte Satch, a capo della casa di produzione Plusarts) è l’impianto spaziale, qui articolato su cinque livelli: un sotterraneo che è luogo dell’incontro e del rito; il piano terra con piccoli ambienti di passaggio e servizio, un mezzanino caratterizzato dalla presenza di terra, rami, fiori, sassi, pupazzi appesi al soffitto, uno spioncino da cui spiare il plastico di una casa; un primo piano con ambienti domestici, prigioni, materassi a terra, cucine, tavoli; un secondo piano che sembra essere il “palazzo”, articolato su lunghi corridoi: montagne di libri e di carta, soggiorni, biciclette, camere da letto, bagni ribaltati a testa in giù.

foto: Gabriele Micalizzi

Gli spazi del Palazzo Calchi Taeggi (dato in affitto dal Comune a Plusarts) sono stati lasciati in uno stato di semiabbandono, con l’usura del tempo e alcuni segni della sua precedente destinazione scolastica ancora visibili. Sono stati necessari dei lavori per consentire l’agibilità per pubblico spettacolo, apportando migliorie alla fruizione degli ambienti che resteranno in eredità al quartiere.
Ma all’interno ogni stanza è allestita con una scenografia (di Giancarlo Dazzi e Mirko Camisa) curata nel minimo dettaglio, realizzata con materiali naturali e mobili di recupero, che crea una ambientazione onirica, tra natura e sublime. È questa l’operazione più incredibile di Roseline: molti scenari non sono nemmeno abitati dagli attori, ma ognuno è invitato a perdersi, a guardare, a immaginare, tra cascate di fogli di carta e gabbie piene di terra da cui sboccia un fiore, con un’estetica alla Louise Bourgeois.

Roseline, oltre a ricordare certa produzione ronconiana, prende spunto dai vari esperimenti di “teatro immersivo” diffusi soprattutto in territorio anglosassone. Suoni e rumori, segni e tracce catalizzano l’attenzione dello spettatore, preso saltuariamente per mano da attori che lo guidano nelle stanze del palazzo. Gli interpreti (un cast quasi completamente inglese) sono calati ognuno nel proprio personaggio, a loro agio nell’estrema vicinanza con il pubblico e perfettamente immersi nel loro mondo di finzione.

Struttura e direzione degli attori sono calibrati su un modello del tutto particolare di fruizione da parte dello spettatore, sulla sollecitazione di curiosità e sull’invito a “risolvere il mistero” nell’impossibilità di cogliere tutti gli indizi. Uno spettacolo che si contamina insomma con le logiche ludiche delle escape room, dove i “concorrenti” devono risolvere indizi e trovare la via di fuga. Qui non c’è fuga ma la partecipazione è mossa dalla curiosità e dagli attori che si muovono in mezzo al pubblico, con una forte prossimità e inclusività. Sembra allora quasi irrilevante un’interrogazione propriamente artistica sull’impianto registico e drammaturgico, a patto che faccia funzionare il “gioco”.
Colpisce che il progetto, nella sua presentazione, punti sullo “strillo” comunicativo di essere “l’unico spettacolo senza spettatori”, laddove lo spettatore è invece il centro del potenziale successo della formula. Ed è proprio nella comunicazione che Roseline pecca un po’ in ambizione, tentando di mostrarsi più per la natura inedita del grande evento (quale d’altra parte è, almeno dal punto di vista dell’investimento economico) che per la (più fertile) ricerca sulle nuove forme della spettatorialità.

Francesca Serrazanetti

Roseline
concept e direzione creativa: Satch
direttore di produzione: Naike Gualtieri
scene:Giancarlo Dazzi and Mirko Camisa
produzione Pulsarts
Trovate il cast completo qui