di Roberto Saviano e Mimmo Borrelli
visto al Piccolo Teatro Grassi di Milano_dal 5 al 17 aprile

Sono nati nello stesso anno e nelle stesse terre. E amano raccontare Napoli e le sue infinite facce, ciascuno con la propria arte e il proprio linguaggio: quello del giornalismo e dell’impegno civico da una parte e quello del teatro e della poesia dall’altra. Sono queste le ragioni dell’incontro tra Roberto Saviano, che non necessita presentazioni, e Mimmo Borrelli, meno noto al grande pubblico ma apprezzatissimo da quello teatrale. Un incontro che li porta a raccontare insieme sul palcoscenico, giocando con il comune strumento della parola, la storia di Napoli attraverso San Gennaro e i suoi miracoli. Un santo sui generis, cui la traduzione popolare ha attribuito ruoli molteplici e a cui si può chiedere di tutto: a condizione di essere napoletani, o migranti italiani all’estero. Il santo con il tesoro più ricco al mondo (e non è mai stato rubato – a Napoli! – fa notare Saviano) nella città più povera d’Italia. Se il sangue di Gennaro torna a sciogliersi ogni volta che si compie il miracolo, la sua mano è quella capace di fermare la violenza lavica del Vesuvio, e saluta da secoli i migranti che partono verso il nuovo mondo.

Storia e leggenda si fanno teatro in un contrappunto di linguaggi e contenuti: diversi quadri (o “atti di sangue”, come li titola il programma di sala) si susseguono con una struttura lineare e quasi didascalica, che non riserva di per sé sorprese. Alla narrazione di Saviano si alterna l’interpretazione dei personaggi da parte di Borrelli, mantenendo il doppio registro del racconto storico e della finzione. Le vicende legate a Gennaro, da vivo e da santo, sono riportate andando a selezionare alcuni momenti frammentari nei quali la storia partenopea ha intrecciato la leggenda del santo (ma alle spalle di questo nocciolo testuale confluito nella drammaturgia vi è una ricerca molto più ampia, di cui gli autori si premurano di fornire la bibliografia). Incontriamo così, uno dopo l’altro, il Boia che avrebbe sacrificato il condannato, Ianuarius (Gennaro) poco prima dell’esecuzione, Lucifero e l’eruzione del Vesuvio del 472, Domenico Cirillo e la Rivoluzione Partenopea del 1799, il viaggio dei migranti in nave verso il nuovo mondo. Per finire con il rito che è scioglimento del sangue e canto ingiurioso dedicato a Napoli.

Saviano racconta e commenta, con quel linguaggio che tutti hanno imparato a conoscere nei suoi interventi televisivi, riconducendo le vicende leggendarie ai temi più attuali cari alle sue inchieste. Borrelli emerge dal buio e ci trascina in altre terre e altri tempi, ricorrendo alla poesia, al canto, al linguaggio del corpo, in un magma che mescola movimento, dialetti e forme linguistiche arcaiche. A mediare sono le musiche eseguite dal vivo da Gianluca Catuogno e Antonio Della Ragione e una macchina scenica (disegnata da Luigi Ferrigno) che – con una ridondanza di forme e significati – si adatta ai diversi quadri del racconto. Se la “staffetta” tra i due interpreti ha il limite di essere poco fluida (esito forse di un lavoro portato avanti in modo per lo più individuale) ha l’innegabile beneficio di avvicinare il linguaggio di Borrelli al grande pubblico, e quello di Saviano a una forma poetica capace di dare vita a un mondo immaginario, come solo il teatro può fare. Saviano si rivolge direttamente al pubblico, allungandogli la mano per cercare quel contatto necessario a traghettare quest’ultimo nell’ascolto della lingua viscerale di Borelli. E in questo ritmo dettato da uno svelto passaggio del testimone, restano perfettamente intatte le identità dei due interpreti così come le strutture (formali e contenutistiche) del reciproco lavoro. Una risonanza capace di amplificare il senso e di interpretare le due facce della medaglia: rendendo onore alle diverse forme del teatro e alle molteplici anime della napoletanità.

Francesca Serrazanetti