Se tutte le strade del mondo portano a Roma, tutte le strade di Sansepolcro portano a Piazza Torre di Berta. Un ampio spazio nel cuore della cittadina medievale che ha il nome di un passato ormai distrutto: la Torre infatti non esiste più perché fu fatta saltare in aria nel 1944 dai soldati nazisti. Con essa scomparve il simbolo di Sansepolcro, la torre campanaria che ne scandiva i ritmi delle giornate con ostinata regolarità. Oggi la memoria si impone con forza e da ogni via, da ogni passaggio, in leggera salita o in discesa che sia, i cittadini-spettatori vi convergono per trovare di nuovo in questo luogo un centro, fisico e di senso.

Luca Ricci e Lucia Franchi, gli ideatori di Kilowatt, hanno infatti stabilito qui lo snodo principale del festival, attribuendo allo spazio un valore non solo in chiave urbanistica, ma anche e soprattutto temporale. Dalla piazza, allestita come una spiaggia, con tanto di sdraio e ombrelloni a delimitare la platea, si possono raggiungere in pochi minuti i vari palcoscenici del festival disseminati per la città. Ma la scansione che risulta determinante è quella che racconta il passare delle ore, che raccoglie e unifica nell’istante del qui e ora.

Qui si arriva dopo gli spettacoli della prima parte della serata e da qui si riparte per la seconda tranche, obbedendo a un ordine sonoro che dà la cadenza all’intero festival. Ogni sera, intorno alla dieci, la voce registrata di Mariangela Gualtieri chiama a sé gli spettatori, i cittadini, i curiosi e i turisti, diffondendo nella piazza stralci di sue poesie. Un momento che cristallizza il silenzio di tanti grazie alla parola di uno, per poi restituire la libertà e, con essa, la percezione di una realtà aumentata e arricchita dalla bellezza. Il tutto in piena consonanza con la traiettoria scelta per l’edizione 2016 di Kilowatt festival, È tempo di risplendere: la poesia come guida e sostegno in cui tutti possono riconoscersi.

Dopo la poesia “detta” il rito collettivo continua con la poesia “danzata”. Il palcoscenico della piazza ospita due brevissime performance, diverse per linguaggio e stile ma accomunabili per una certa leggerezza del messaggio che, per citare Italo Calvino, “non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.

Giovanni Leonarduzzi compare sul fondo della scena in silenzio, passando in principio quasi inosservato agli occhi dei molti bambini che affollano le prime file. E proprio a un bambino si rivolge Ci sono cose che vorrei davvero dirti, lavoro che nasce dall’esperienza della paternità e dalla ricerca di una forma di dialogo. Leonarduzzi parla al figlio in forma scenica, deformando il proprio corpo in pose innaturali, facendosi strumento di un narrare che supera i confini fisici e diventa un diverso modo di entrare in connessione con l’altro. Un codice linguistico a tratti ironico, che racconta con candore un’intimità profonda.

Francesco Colaleo non ha invece timore a utilizzare un codice dichiaratamente comico. Re-Garde gioca sul senso della vista mescolando il modulo-base della duplicazione con quello spontaneo e ludico degli scherzi infantili. Colaleo, in scena insieme a Maxime Freixas, costruisce una performance che tratteggia i confini di una dimensione disimpegnata e raffinata al tempo stesso. I due danzatori si muovono in sincrono, raddoppiando i movimenti dell’altro o facendo corrispondere ad ogni gesto un contrappunto, creando immagini di grande eleganza e fascino. Parallelamente viene sfruttato il principio del gioco “Uno, due, tre, stella”, in cui l’azione disordinata e ridicola è messa in atto fin tanto che non è vista dagli occhi dell’altro. Attraverso una ricerca che non sfocia mai nel puro formalismo la compagnia riflette in modo originale e scanzonato sul senso della visione, riuscendo nel contempo nel raro obiettivo di intrattenere adulti e ragazzi con intelligenza.

Termina la serata in Piazza Torre di Berta, il tempo riprende a scorrere con i suoi ritmi regolari e il pubblico si disperde per i vicoli, alla ricerca del prossimo spettacolo.

Chiara Marsilli