La scorsa edizione del festival di Santarcangelo, a cura di Ermanna Montanari, era tutta concentrata sulla figura dell’attore. La nuova direzione sembra percorrere la medesima suggestione e affrontarne le estreme conseguenze: cosa resta sulla scena contemporanea dell’attore che conoscevamo? Se si segue il filo rosso che unisce le proposte del primo fine settimana di festival, emergono possibili risposte.
Da un lato, gli oggetti sembrano imporsi con forza sull’essere umano in carne ed ossa: in “Fuoco fatuo” di Mirto Baliani e Marco Parollo i protagonisti sono utensili di uso comune. Il risultato è un corale di bollitori, pentole e alambicchi la cui sinfonia di fischi, vapori e vibrazioni – provocata dal fuoco, vero e proprio detonatore scenico – è l’unica partitura drammaturgica. Lo ha insegnato Pathosformel in questi anni: dove mancano personaggi e tessuti narrativi è lo spettatore a dover mettere in gioco vissuti, emozioni, suggestioni.
Le relazioni tra uomo e oggetto sono al centro di una delle creazioni più applaudite delle prime giornate santarcangiolesi: Matija Ferlin, nel suo “Sad Sam”, si rivolge a un enorme cerchio di piccoli animali di plastica, muti interlocutori di un lunga performance. Lo spettacolo racconta, in modo semplice e diretto, la fine dell’infanzia e l’apertura a una più ampia prospettiva di relazioni; eppure non è assente una meno scoperta componente metateatrale. Nell’accorato impartire ordini e consigli del protagonista, e nel suo proporre surreali esercizi fisici, sembra di riconoscere le modalità comunicative tipiche del workshop teatrale (contesto – sembra suggerire Ferlin – che rischia di essere autoreferenziale come un gioco con le bambole); e ancora nell’immobile e acritico assistere degli esserini in plastica pare di cogliere un’allusione al pubblico.
La dialettica uomo-oggetto assume una connotazione inedita anche nella creazione di Damir Todorovic e Valentina Carnelutti. In “As it is” il centro della scena è una macchina della verità: il protagonista maschile si sottopone, per mano di un’amica, a un interrogatorio che riguarda le esperienze di servizio militare in Serbia. L’attenzione dello spettatore viene catalizzata dalla macchina – il cui grafico viene ripreso e proiettato su uno schermo – e il dispositivo si impone come mezzo e fine della comunicazione in corso. La tensione tra il copione scritto e recitato e la realtà non prevedibile della rappresentazione emerge come uno dei maggiori elementi di interesse dell’esperimento; finta è l’autobiografia del protagonista, finta (e poco convincente) è la dinamica conflittuale che si viene a creare tra i due personaggi sulla scena, ma vere sono le reazioni fisiologiche del corpo di Damir nel momento della performance. La realtà, quella della presenza fisica dell’essere umano-attore, fa capolino sulla scena.
Ed è ancora la realtà a farla da padrone, senza più mediazione, in “Ads” di Maxwell: secondo una modalità compositiva cara ad alcune realtà artistiche contemporanee (come Rimini Protokoll), ad essere chiamati sulla scena sono cittadini qualunque. L’installazione video riporta le testimonianze degli abitanti di Santarcangelo sul tema della felicità; ma a mancare, a differenza di quanto avviene per Rimini Protokoll, è la prospettiva politica di ampio respiro e un chiaro sviluppo drammaturgico.
Anche quando in scena si vedono interpreti in carne ed ossa, a prevalere è la messa in discussione del codice attorale e comunicativo tradizionale. Kinkaleri costruisce sulla creazione di un nuovo alfabeto – sintesi capace di coinvolgere la dimensione fisica e quella verbale – tutto il suo “Fake For Gun No You”; mentre Quotidiana.com si sottrae alla tentazione della performatività, trasferendo nella recitazione il male di vivere e il devastante nichilismo che pervade il loro “Grattati e vinci”.
In parziale controtendenza rispetto a questi elementi (che rischiano di tanto in tanto l’autoreferenzialità e sembrano rivolgersi consapevolemente a un gruppo di addetti ai lavori) si pone la maggiore novità dell’edizione di quest’anno: l’approdo di alcuni spettacoli nella piazza centrale di Santarcangelo, gratuiti e aperti a tutti.
A trovare una naturale dimensione nella condivisione con un pubblico esteso e molto eterogeneo è stato in particolare “I fratelli Karamazov” di Cesar Brie: il romanzo russo trasformato in racconto popolare, intriso di commedia dell’arte, è parso conquistare gli spettatori più imprevisti. Un bambino di otto anni, trascinato via dal padre, ha urlato un disperato “uffi!”: mi è parso uno dei segni più rassicuranti per il teatro degli ultimi tempi.
Maddalena Giovannelli