Sarai
FRANCESCA PENZO
Davanti, a sinistra c’è una giovane donna di ventinove anni. Dietro, a destra, un uomo anziano, il padre. Entrambi vestono in pantaloncini e giacca da corsa. Lei si muove con sensualità, lo sguardo rivolto in alto, verso il futuro. Lui, alle spalle, discreto, compie gli stessi movimenti, un po’ impacciato e traballante, senza l’agilità della giovinezza ma con l’ironia dell’esperienza. Ai lati un paio di scarpe, una borraccia e una tovaglietta. Iniziano a correre su una scena ancora priva di musica, dove l’unico rumore è quello dei loro respiri affannati. Si guardano, si inseguono e si affrontano in quello che sembra un incontro di boxe: saltellano, si sfidano, vogliono colpirsi mentre la tensione aumenta vertiginosamente. Poi però i due si sciolgono in un abbraccio. I loro respiri si fanno più forti e la stretta si trasforma nella posa di un lento. “La vita è straordinariamente corta” avverte una voce off citando “Il prossimo villaggio” di Kafka. I ballerini si spogliano allora dell’abbigliamento da corsa e restano con indosso una camicia blu quasi elegante. Finalmente comincia la musica e i due si abbandonano a una danza complice e spensierata dove mentre il padre sussurra qualcosa all’orecchio della figlia, lei sorride. La coreografia di Francesca Penzo narra un rapporto famigliare, fatto di equilibri precari ma anche della certezza di un sostegno costante. È la ricerca di un linguaggio comune per due storie diverse ma indissolubilmente intrecciate.
Why are we so f***ing dramatic?
FRANCESCA PENZO e TAMARA GROSZ
Due donne sul palco danzano sulle note della Primavera di Vivaldi mentre una voce off col tono asciutto tipico dei documentari descrive un nuovo esemplare animale dei nostri giorni: “la donna indipendente”. Francesca Penzo, bionda con gli occhi azzurri e Tamar Grosz, riccia, capelli scuri e pelle olivastra, ballano con movimenti che esprimono consapevolezza ed emancipazione: “una donna diventa donna quando lo diventa” dice la voce mentre le ballerine disegnano col loro corpo cerchi concentrici sul pavimento. Questi due esemplari della “fauna contemporanea” vengono raccontati attraverso una suddivisione in capitoli che prende le mosse dal loro ciclo mestruale. Le danzatrici camminano in ginocchio in modo frenetico, si muovono a gattoni: ovulazione. Il movimento si fa isterico, vogliono gridare, si mordono le mani, una borbotta, l’altra vuole urlare, una ride, l’altra piange, la rabbia si alterna alla gioia: fase premestruale. “Da 3 a 7 giorni di sangue, dopo i quali, i giorni successivi sono tra i più spensierati del ciclo”: la loro danza si abbandona finalmente ad una dolce risata.
Vania Cuppari
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView