ideazione e regia Massimo Verdastro
Testi di A. Tarantino, L. Scarlini, M. Palladini, L. Russo, M. Verdastro, A. Macaluso, L. Prosa
visto all’interno del Festival Tramedautore, 21-30 Settembre 2012
presso Piccolo Teatro Grassi di Milano

Il progetto ideato e diretto da Massimo Verdastro promette, fin dal sottotitolo, di essere ‘una visione contemporanea’ della celebre opera latina frammentaria. E questo Satyricon – a differenza di molte delle operazioni di rivitalizzazione del classico, troppo spesso superficiali e di facciata – mantiene la sua promessa. Le tuniche bianche convivono pacificamente con i jeans, e il pedagogo parla della guerra di Troia con in mano il quotidiano “la Repubblica”; ma è a livello testuale che il cortocircuito tra passato e presente si realizza in modo più compiuto. Lo spettacolo è articolato in cinque capitoli, ognuno firmato da un drammaturgo contemporaneo; il risultato è una raccolta di creazioni nuove e originali, ma in continuo dialogo con l’opera da cui traggono ispirazione. Nonostante non vi sia la mano di un unico autore, l’insieme è coerente e coeso: sono stati l’intervento registico di Massimo Verdastro e il suo coordinamento drammaturgico al fianco di Luca Scarlini a lavorare in tal senso, creando richiami interni e limando le difformità. Ogni capitolo mantiene comunque la propria ‘biodiversità’: dalle atmosfere, ai ritmi, fino al dialetto scelto, ogni drammaturgo ha costruito un piccolo universo da interpretare. A spiccare sono soprattutto il secondo e il terzo episodio (Tra scuola e bordello e Quartilla), firmati rispettivamente da Marco Palladini e da Letizia Russo: Palladini tocca alcuni dei punti più dolenti della nostra contemporaneità, mentre Russo costruisce una macchina comica dai ritmi serrati e impeccabili. Protagonista dell’irresistibile assaggio di commedia è Quartilla, sacerdotessa di Priapo, il dio-fallo: il suo vocabolario è un latino maccheronico che ricalca le strutture della lingua antica ma utilizza un lessico contemporaneo; il compito della vestale sarà punire con terribili pratiche orgiastiche i “guardones” colpevoli di aver sbirciato i segreti riti priapici (“masterclass orifitiorum”). Il meccanismo – per quanto semplice e in larga misura prevedibile – funziona e diverte per le continue e incontenibili invenzioni linguistiche, per le tempistiche che non lasciano allo spettatore il modo di prendere distanza, per lo sguardo ironico sull’immagine scolastica dell’antichità, per l’impianto comico sapiente, quasi in stile aristofaneo. Il segmento di storia scelto da Palladini è invece ambientato, come recita la didascalia, tra una scuola e un bordello. L’accademia di retorica di Petronio si trasforma in una moderna “clinic” dove si studiano le trasformazioni del linguaggio, tra una citazione da Lacan e un ballo da discoteca. I protagonisti Encolpio, Ascilto e Gitone cercano di sbarcare il lunario in una periferia di pasoliniana memoria e parlano un romanesco ispirato dalla poesia di Belli; eppure il contesto di riferimento è senza dubbio quello del nuovo millennio, ossessionato dal training, dalla formazione, dall’acquisizione degli strumenti necessari per trovare lavoro e avere successo. Agamennone, il maestro di retorica, raccoglie rette cospicue dall’iscrizione di ricchi rampolli e offre un piccolo impiego a Encolpio che però non osa chiedere se e quanto sarà pagato. Emerge così il ritratto a tinte fosche di una generazione immobilizzata, lavorativamente e affettivamente precaria, che si affanna per provare “a svortà” senza mai riuscirci. Il bordello − dove un’attrice si esibisce in una meravigliosa declamazione in romagnolo della Divina Commedia − è dipinto come un girone infernale, per nulla conturbante, ma cupo, disperato, simbolo di una sessualità che non sa dare sollievo. Non sono questi gli unici temi caldi affrontati nel “Progetto Satyricon”. Il pedagogo Eumolpo (protagonista del primo episodio, firmato da Antonio Tarantino) riflette sul ruolo dell’arte nella narrazione − e trasformazione − della realtà; dalle parole disilluse e amare dell’allievo, però, emerge lo scarto tra la sapienza del maestro e il ruolo che la società gli riserva. Non sfugge, in tempi di ‘pedagoghi’ sottopagati e in eterna attesa di scalare una graduatoria, la dolorosa attualità della questione. Anche il potente arricchito Trimalcione sembra ispirato alla cronaca recente più che ai testi antichi: intorno a una cupa tavola metaforica composta di podi e specchi, che evocano conferenze stampa politiche e nightclub, va in scena una squallida sequenza di battute volgari, chiacchiere vane, superficiali sfoggi di cultura. Ma non è più tempo per il sontuoso banchetto descritto da Petronio – sembrano dire gli autori del quarto episodio, Massimo Verdastro e Andrea Macaluso: i richiami alla Grande Abbuffata di Ferreri lasciano presto il posto a un finale che parla dei nostri tempi di crisi; il cuoco convocato per preparare manicaretti si trova a disposizione solo un uovo, e agli invitati non resterà che guardare l’ultimo avanzo dell’antica ricchezza che sfrigola in un tegamino. Meno incisivo appare il dialogo con la realtà di oggi nell’ultimo episodio, firmato Lina Prosa: le atmosfere decadenti e rarefatte della Cena Trimalcionis conducono lo spettatore ormai un po’ fiaccato al racconto di un naufragio onirico, in cui, tra alterate percezioni della memoria e interventi ex machina di un Mercurio-Puck, la storia perde ritmo e sembra scegliere un codice a sé stante, distonico rispetto ai precedenti episodi. È inevitabile percepire affaticamento dopo oltre quattro ore di spettacolo; eppure il progetto è lodevole proprio per la complessità e l’ampio respiro. Il lavoro è stato peraltro presentato anche per singoli episodi, a causa delle prevedibili difficoltà di distribuzione; invece meriterebbe senz’altro una visione di insieme completa e una più ampia circuitazione.

Maddalena Giovannelli