Sui padri e sui figli, sui poteri che non abdicano e sulle sedie che non si liberano ha detto molto il teatro di questi anni. Ma Saul, scritto da Giovanni Ortoleva con Riccardo Favaro, prende la questione da un’angolatura sorprendente.

Per vedere meglio spesso bisogna andare più lontano: Ortoleva (che qui firma anche la regia) decide così di rielaborare le vicende bibliche di Saul, filtrandole attraverso la riscrittura di André Gide e (soprattutto) attraverso la propria visione del mondo. Il vecchio re d’Israele – fuor di metafora chiunque possieda lo scettro del potere, professionale o famigliare – è qui una rockstar in depressione (Marco Cacciola): abita nella camera di uno squallido hotel, ordina sandwich al tonno e chardonnay, indossa vestaglia e anfibi. Orbitando intorno all’astro paterno cerca di trovare il proprio posto nella galassia anche il figlio Gionata (Federico Gariglio): il ragazzo sta cercando un lavoro, ma durante i colloqui tutti non fanno altro che chiedergli di suo padre, la star. Poi, d’improvviso, qualcosa cambia.

Pasolini, nel suo Teorema (1968), descrive bene cosa accade quando negli equilibri affaticati e stantii di una famiglia arriva un tornado. Proprio come il misterioso ospite pasoliniano, il David di Ortoleva (Alessandro Bandini) è splendido, attraente, traboccante di vita e di gioventù. La sua presenza basta a cambiare del tutto le carte in tavola: Saul immagina finalmente di tornare a comporre, e Gionata riprende fiducia in se stesso. Il contagio di vitalità che deriva da David viene immaginato da Ortoleva (proprio come da Pasolini, e dallo stesso Gide) come una seduzione erotica: Saul e Gionata si lasciano autenticamente innamorare, con una forma di amore che è innanzitutto (ri)scoperta delle proprie facoltà individuali.

Proprio in questo snodo della drammaturgia risiede una delle letture più acute – e più inedite – delle dinamiche intergenerazionali del contemporaneo: non viene descritta l’assenza o l’impossibilità di uno scambio, ma si mette in luce come i “padri” si facciano portatori di richieste relazionali disperate, e proprio per questo utilitaristiche e improduttive. Il re ha bisogno del suo potenziale successore per sentirsi ancora vivo, lo desidera proprio per la sua ambizione; eppure – Marco Cacciola è bravissimo a incarnare questa ambivalenza – non può concedergli quello spazio di realizzazione che significherebbe la sua morte. Così, come vuole la tradizione, Saul tenterà di uccidere David, e David sarà costretto a scappare e a tornare da vincitore.

La natura meta-teatrale della vicenda è sottolineata da più parti, come un dialogo aperto con il pubblico e con la tradizione: un televisore trasmette il film Saul e David con la regia di Marcello Baldi e la sceneggiatura di Tonino Guerra (1965), mentre il naturalistico setting alberghiero si sgretolerà sotto gli occhi dello spettatore lasciando la scatola scenica nuda. Ma al di là della trovata (ormai forse un po’ abusata sui palchi contemporanei), è la drammaturgia a tentare la strada più interessante; ai dialoghi serrati tra i personaggi, che collocano l’azione nello star system musicale di oggi, si alterna una voce narrante in terza persona, che continua a parlare di Re Saul, dei Filistei e della foresta di Cheret. Come in un gioco di matrioske, Favaro e Ortoleva immaginano si tratti della bozza di uno scritto vergato dal giovane Gionata; ma lo schema viene fatto e disfatto con intelligenza, creando una continua dialettica tra l’azione effettiva dei personaggi, e quello che il plot narrativo prevedrebbe per loro. Quanto più ci allontaniamo da ciò che è stato scritto per noi, nel teatro e nella vita, tanto più cominceremo a divertirci.

Maddalena Giovannelli


Saul

liberamente tratto dall’Antico Testamento e Saul di André Gide
regia di Giovanni Ortoleva
con: Alessandro Bandini, Marco Cacciola, Federico Gariglio
drammaturgia: Riccardo Favaro, Giovanni Ortoleva
movimenti coreografici: Gianmaria Borzillo
disegno luci: Davide Bellavia
scenografia e costumi: Marta Solari
decoratrici: Francesca Antolini, Maria Giulia Rossi, Martina Galbiati
musiche originali: Pietro Guarracino con Ettore Biagi, Agnese Banti e Lorenzo Ruggeri

Visto a Teatro i di Milano_15-25 novembre 2019.