Per le strade di Favara, gli abitanti danno con un certo orgoglio le indicazioni per raggiungere Farm Cultural Park. Non è un dato scontato: perché in una cittadina nel cuore della Sicilia, l’arrivo di un simile centro per l’arte contemporanea di caratura internazionale poteva essere recepito come una forma di “colonizzazione”, ammiccante al turismo in una prospettiva globale. Ma questo progetto, pensato e reso concreto dal notaio Andrea Bartoli e dall’avvocato Florinda Saieva, nasce dalla volontà di far rivivere il centro storico mantenendone l’identità e allo stesso tempo rendendolo un luogo attrattivo: un laboratorio creativo in continua trasformazione, nel quale l’arte e la cultura diventano elementi propulsori di una profonda rigenerazione urbana.

Farm nasce nel 2011 intorno al Cortile Bentivegna, che raccoglie a sua volta sette corti di matrice araba. Un quartiere abbandonato dagli anni ’80 e recuperato accostando alle case dei pochi abitanti ancora presenti (o poi ritornati) spazi espositivi, per workshop, laboratori e servizi di ristoro. Un confronto tra le immagini prima/dopo parla da solo: i ruderi fatiscenti sono stati ristrutturati e in alcuni casi completamente ricostruiti, in un accostamento tra antico e nuovo che è affermazione concreta di un tacito patto intergenerazionale. E ad abitare le strade della Farm sono gli anziani del posto, i giovani isolani che non sono migrati al nord, turisti, investitori privati, giornalisti e artisti.

Ad ascoltare Andrea Bartoli sembra davvero tutto molto facile. Do it yourself: se le cose non accadono, basta farle accadere. L’idea di partenza è immediata: “piuttosto che abbandonare un luogo per nuove mete più fortunate, abbiamo scelto di restarci facendolo rinascere”. Non è molto diversa la visione del coreografo Roberto Zappalà, che ormai parecchi anni fa ha scelto di rimanere a Catania piuttosto che migrare in una delle capitali della danza, e di fondare nel cuore della Sicilia Scenario Pubblico, quel centro coreografico dalle vedute ampie e dall’aspetto europeo oggi riconosciuto come uno dei tre Centri di Produzione nazionali.

È grazie all’incontro di queste cause comuni che oggi a Favara nasce Scenario Farm, una nuova micro-sede di Scenario Pubblico: “un presidio della danza contemporanea –racconta Zappalà – che ha l’obiettivo di rendere il corpo protagonista, in un centro di arti visive dove fino ad ora si esponevano solo oggetti statici”. Il contesto della Farm diventa allora la motivazione e allo stesso tempo la conseguenza, un più ampio contenitore dove trovare il giusto spazio e il giusto modo per introdurre il linguaggio della danza. Scenario Farm è un piccolo immobile esito della integrale ristrutturazione di un rudere: una scatola tinteggiata di nero, che contrasta col bianco degli edifici circostanti. Al piano terra c’è Videobox, un ambiente destinato a ospitare opere di video danza già realizzate o esito di percorsi di residenza. Al primo piano, Nanobox, una stanza bianca che accoglie performance in un rapporto one to one tra danzatore e spettatore.

La programmazione che inaugura questo neonato spazio – e che apre la stagione 2016/2017 di Scenario Pubblico dall’emblematico titolo “Dare” – prevede il susseguirsi, ogni fine settimana fino alla fine di agosto, di brevi performance di sette danzatori. A cominciare da Annalisa Di Lanno e dal suo Uomini, in cui la danzatrice sembra voler rappresentare il limite tra il conscio e l’inconscio di uno stato dell’essere legato al genere maschile. È lo spettatore a entrare per primo in una stanza completamente vuota, illuminata da una luce abbacinante nel contrasto con l’esterno. Dopo il suo ingresso con una semplice camminata, la Di Lanno sembra essere progressivamente risucchiata in un moto centrifugo: entra ed esce da una sorta di stato primordiale, in cui prendono corpo istinti animali e gesti di violenza, in un alternarsi dei ruoli tra vittima e carnefice. È una performance impetuosa, in cui il contatto con l’osservatore avviene solo in un attimo di vicinanza sull’uscio della stanza. Il resto è tutto nella dinamica del movimento, e lo sguardo della danzatrice resta sempre rivolto verso un altrove che non incrocia mai lo spettatore. Sarà interessante osservare quali diverse forme assumerà la specificità del rapporto uno a uno negli appuntamenti dei prossimi mesi.

Diverso è lo spirito che muove Mindbox, la media slot-machine realizzata nel 2009 dall’artista berlinese Christian Graupner e ora riproposta nello spazio Videobox. È un video-trittico a diversi quadri, di cui è protagonista lo stesso Zappalà. Il susseguirsi delle scene, le azioni e le velocità dei suoi movimenti sono governati dallo spettatore attraverso i comandi di una macchina che ha tutte le sembianze di una slot machine. L’oggetto del gioco d’azzardo, però, non sono qui vincite pecuniarie ma un coinvolgimento che può diventare compulsivo, sui gesti e sui suoni della danza. Unica regola, come suggerisce l’artista, è quella di stare al gioco: “play and be played”.

Nel futuro prossimo di Scenario Farm (l’accordo di concessione d’uso dello spazio, per ora, si estende ai prossimi dieci anni) prenderanno corpo queste e altre forme performative, nelle possibili interpretazioni di uno spazio di intimità oggi quasi perduto. Con l’obiettivo di innestare la danza nel cuore della Sicilia – suggerisce Zappalà – come una “pillola omeopatica”, che agisce a piccole dosi ma con un effetto dalla lunga durata. È la cura dell’incontro tra i corpi, della relazione, di un’identità ritrovata.

Francesca Serrazanetti