Prosciugata, arida, insensibile è la pietra e così vorrebbe essere anche Jess Goldberg, protagonista dello spettacolo Stone, scritto e diretto da Carmen Pellegrinelli. Liberamente ispirato al romanzo Stone Butch Blues di Leslie Feinberg, edito per la prima volta nel 1993 e tuttora considerato una pietra miliare della letteratura LGBTQIA+, la messinscena prevede un’attrice unica, protagonista e narratrice allo stesso tempo, Laura Mola. La storia che ci racconta è sia una biografia immaginaria, privata, sia l’emblema delle sofferenze, delle difficoltà, delle lotte di un’intera comunità. Lo spazio informale del Dulcis in fundo di via Zuretti ospita, così, una performance intima ma anche prepotentemente politica.
A cavallo tra gli anni ‘60 e ‘80, Jess è una ragazza che ha il disperato bisogno di essere amata. Non vorrebbe essere diversa, ma il mondo le ricorda costantemente che lo è, che esistono solo due generi: uomo o donna. Il suo vivere è assediato da una «doppia coscienza», dal «vedersi sempre con gli occhi degli altri». Ogni etichetta che il mondo le assegna è posticcia, sembra le faccia perdere qualcosa di sé, e allora il suo viaggio di evasione dal paese natale diventa un viaggio di scoperta attraverso le identità e sul confine dei generi. Ed è così che le parole butch, femm, trans diventano Al, Jaqueline, Angie, Betty, Teresa, ossia vite, volti, nomi di persone che la società relega nella grande categoria dei diversi. Diventano amiche, compagne di lotte, amori. A tutte loro, Laura Mola presta continuamente voce e corpo, entrando e uscendo dai panni della protagonista, complice una scena essenziale e un trovarobato scelto sapientemente. Sullo sfondo della narrazione, i soprusi privati e gli stupri dei compagni di scuola si mescolano a uno scorcio sociale del tempo, alle violenze della forza pubblica, ai raid della polizia nei locali gay e alle proteste, come quella storica di Stonewall del 1969. In questo Stone è fortemente politico, non nascondendo una lettura intersezionale della Storia, che lega l’emancipazione queer alla lotta interclassista. Eppure, è la cifra umana della protagonista a trascinare il pubblico del Dulcis in fundo. Irriverente e sfrontata, ma anche malinconica e delicata, Mola esalta l’umanità del suo personaggio. Questo perché la Storia si scrive sempre nella carne delle persone, anche se il potere parla di numeri, maggioranze e minoranze, norme e deviazioni. Renderle invisibili, annichilirle e farle sparire in una categoria, è la strategia vincente per reprimere. Non è solo quindi negli avvenimenti raccontati che si misura lo spettacolo, ma nei respiri corti di Jess, nelle sue esitazioni, nelle lettere d’amore pensate come preghiere. «Pensi mai a me nel fresco della notte, tu che sei l’unica capace di sciogliere la pietra?», scrive a Teresa. Una domanda che risuona alla fine dello spettacolo, in opposizione a quella che chiedeva di scegliere un genere e un ruolo e che ora forse contiene un cambio di prospettiva, l’unica possibile risposta. La pietra di cui si corazza la stone butch Jess è forse, parafrasando Ungeretti, solo l’altra faccia di un pianto invisibile e intimo. Perché alla vita non si chiede in fondo mai di essere definiti, ma solo di essere accettati. Non scolpiti, come la pietra, ma accolti, per non scontare, vivendo, il tempo della morte.

Federico Demitry


in copertina: foto di ufficio stampa

STONE
Liberamente tratto da “Stone Butch Blues” di Leslie Feinberg
scritto da Carmen Pellegrinelli
con Laura Mola
luci di Simone Moretti
regia di Carmen Pellegrinelli
una produzione P&P Theatre Academic Productions
in collaborazione con Alfi LesbichexxBergamo
un ringraziamento a ORLANDO Festival e Associazione Culturale Immaginare Orlando APS

Contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2024