Indagando il termine metamorfosi, siamo spesso spinti a pensare al mutamento di un essere o di un oggetto in un altro dalla natura diversa: tuttavia il lemma può raccontare ben più di questo. Scelta come titolo dell’edizione 2025 di Lecite Visioni, la parola metamorfosi ha spinto la nostra redazione a interrogarsi su quali altre accezioni abbia assunto nel corso del tempo e cosa possa significare oggi. Abbiamo a lungo discusso, considerando quelli che sono stati i molteplici avvenimenti degli ultimi anni in ambito culturale, ponendo attenzione ai venti burrascosi che ora soffiano sulle nostre società, svelando il ritorno di ideologie radicali. Corre alla mente l’opus magnum di Ovidio, nel cui incipit — per riferirsi a quello che era «l’unico volto della natura» prima che questo fosse definito dalle leggi — il poeta parla di un «caos, mole informe e confusa». La definizione è ottima per indicare lo sviluppo sia di questa pubblicazione – dove troverete interviste, attraversamenti e consigli nati dagli sguardi di questa redazione – sia dell’articolo che state leggendo, un esperimento di scrittura collettiva, dove le parole di ciascun* sconfinano e si fondono. Questo rappresenta pienamente ciò che riteniamo essere queer.

La metamorfosi, la trasformazione e il mutamento sono infatti parti indissolubili del queer, se con questo intendiamo la scelta di abitare la soglia delle identità. Come ricorda Maya De Leo – autrice del saggio Queer. Storia culturale della comunità LGBT+  (Einaudi, 2o21) – il termine nasce come insulto per indicare qualcosa (o qualcuno) di anomalo e bizzarro, ma a partire dagli anni Novanta l’attivismo lo ha progressivamente risemantizzato, affidandogli il valore dell’espressione politica della rabbia e dello scarto rispetto alle norme di genere e sessualità, senza proporne una definizione univoca. Queer è quindi un posizionamento critico, fluido e instabile, che rifiuta tassonomie rigide. È una pratica che mette in discussione le strutture di potere e si intreccia in modo intersezionale con la razza, la classe e l’abilità. A differenza dell’acronimo LGBTQIA+, che mette l’accento sulla varietà delle esperienze incarnate in quello scarto, queer descrive un modo di agire e resistere. È un luogo di attraversamento e di oscillazione tra poli opposti che non trovano mai una dimora stabile. È un approccio transitorio che rifiuta il binarismo e che pone una resistenza innovativa alle definizioni che stiano definitivamente al di qua o al di là della soglia su cui la queerness è sempre rimasta.

La queerness intrinsecamente metamorfica ha da trovare – per così dire – anche una ricaduta concreta nei processi redazionali del laboratorio dipanatosi a margine del festival Lecite Visioni. La queerness non indica soltanto la trasformazione di un contesto che preme dall’esterno, né, d’altro canto, un movimento che attende un innesco volontario; semmai, si colloca tra questi orizzonti. La concretizzazione di tale spazio mediano è il dialogo, classico luogo di formazione di una via di mezzo spesso risolta in un comodo compromesso geometrico, equidistante dai blocchi di partenza. Ma nel dialogo, oltre ogni accordo, si verifica un’esposizione radicale poiché si dispone delle parole altrui e si cambia in forza di quelle stesse parole, che ridisegnano il campo da gioco e, di conseguenza, i giocatori. Proprio porgendo l’orecchio a questa esposizione si dà forse la possibilità di afferrare, almeno per un istante, una faccia del prisma queer. Nel lavoro di redazione, ciò è accaduto a pieno, tra le altre cose, nei dialoghi svolti con gli artisti. La messa a punto delle domande, l’effettivo svolgimento di conversazioni lontane dall’impianto dicotomico delle interviste più tradizionali e l’editing conclusivo non hanno fatto altro che esibire, come in un unico dialogo tripartito, l’irriducibilità delle voci coinvolte, dei protagonisti del festival come dei membri della redazione. Più o meno esplicitamente, gli esiti di questo lavoro polifonico sono dunque percorsi dalle tracce di questi incontri e, per questa via, cercano di accostare l’enigma della queerness.

Nella rifrazione dei punti di vista e nella distruzione di un impianto gerarchico tra intervistatore-intervistato, chi interroga e chi risponde, è dunque emerso uno dei cardini della ricerca formale del laboratorio di Stratagemmi per Lecite Visioni: l’analisi e la contaminazione queer alla normatività della forma-rivista. Collettivamente e contraddittoriamente, facendo nostra – per parafrasare Halbestram – l’eventualità di mettere in pratica “l’arte del fallimento queer, ci siamo interrogat* sulla possibilità di sperimentare una metodologia di critica culturale decostruita che, nel suo approcciarsi al fatto artistico, ai suoi interpreti e ai suoi spettatori, si interroghi e reinventi le modalità in cui pensiamo si debba raccontare il teatro, l’arte queer, e nel farlo si renda portatrice essa stessa di queerness.
Questo tentativo accoglie il desiderio di costruire un nuovo approccio con cui assistere a spettacoli, provare a seguire il lavoro dietro le quinte e fare ricerca teorica sui temi trattati, non limitandosi a raccogliere dati ma permettendo di entrare in relazione con un mondo ricco di emozioni, politica, creatività rispetto al quale siamo chiamati a confrontarci. 

Un editoriale, una rivista queer, dunque?
Sì, a partire dalla sua posizione: la soglia. 

Questo nostro testo scritto, rivisto, editato da tante menti (tutte quelle della redazione!), si pone simbolicamente in apertura a un florilegio di testi vari, cangianti, sia per tono che contenuto. Troverete mappe, interviste, recensioni, affondi critici persino oroscopi! in una rivista che, nella sua pubblicazione in apertura del festival, non alla sua conclusione, già adotta la pratica di chi, stando ai margini, rivendica la sua autorialità e ne fa uno strumento intellettuale, critico, politico. 

Stare sulla soglia è, in effetti, la condizione del mediatore culturale, tanto più se il suo operare guarda all’orizzonte queer con piglio intersezionale. In un momento storico in cui le ragioni dell’industria culturale guadagnano spazio, sembrano palesarsi almeno due modi di fare mediazione. Anzitutto, l’individualismo che fa leva su uno status riconosciuto e che, con maggior o minor evidenza, si traduce in un approccio pedagogicamente autoritario. In secondo luogo, il suo contraltare fatto di genuflessioni dinanzi all’industria, i cui fini orientano i toni impersonali. Entrambe le maniere, così solidali, celano però la soglia. Frapponendosi tra l’opera e il suo spettatore, la mediazione non può essere ininfluente né, di contro, può occludere egocentricamente la circolazione. Mai isolato, collocato semmai in un groviglio più profondo, il mediatore ha il compito di far da tramite e arrischiarsi nell’interpretazione. Sul terreno oscillante della soglia, è proprio la responsabilità dell’interpretare, ineludibile, che chiama. La responsabilità di un interpretare che esibisca le proprie strutture e che si apra – sin dall’inizio, per esempio attraverso un lavoro non-individuale, e senza assoluti – al dialogo con l’opera e con lo spettatore: dopo l’incontro con l’opera e con la sua luce, per rivolgerle addosso un’altra luce ancora; dopo la mediazione esercitata, per abbandonarsi consapevolmente tra nuove mani. È esattamente questa la responsabilità di cui hanno cercato di farsi carico i componenti del laboratorio, mettendola alla prova nella rete di scambi e interazioni che, del resto, non possono che animare un festival queer

Lecite Visioni offre uno spazio di convergenza per una molteplicità di artiste, artisti e artist* che celebrano la propria libertà di essere e creare. Oggi più che mai abbiamo bisogno di questo dialogo, che sia sotto forma di ascolto, visione, lettura o dibattito, nutrendoci dell’incontro fertile di vite, persone, linguaggi e forme d’arte. Sta qui il risultato delle nostre riflessioni, del nostro scrivere queer, da condividere con gli avventori del Festival Lecite Visioni per accompagnarci in questi giorni di teatro e arti performative.

la redazione


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico dedicato a Lecite Visioni 2025