«Prendete la vita con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore». Ispirandomi alla leggerezza pensosa di Italo Calvino, ripercorro la giornata del 5 novembre a volo di uccello, cercando di comporre una sorta di costellazione formata da parole e concetti che spiccano per luminosità e sembrano collocarsi come stelle guida di questo Segni di Infanzia 2020.
Partecipazione è il primo vocabolo che emerge con forza e che, guardando a come si è composto il palinsesto giornaliero della rassegna tra spettacoli, incontri, approfondimenti, dibattiti e workshop digitali, dimostra come abbia risuonato anche in chi Segni lo ha immaginato e programmato. È nella natura del festival e del teatro stesso l’atto del partecipare: è prendere parte, unirsi in un gruppo, in un pensiero. Se non è possibile farlo fisicamente, Segni d’Infanzia ha dimostrato con la sua piattaforma segninonda.org come lo si possa fare anche attraverso momenti preziosi di scambio che ci fanno essere insieme e prendere parte liberamente alle discussioni. Proprio come sottolinea uno dei motivi più celebri cantati dal Signor G., La libertà, che i più giovani spettatori hanno forse potuto incontrare per la prima volta grazie a una lezione-spettacolo dal titolo Incontro con Giorgio Gaber presentata al festival da Lorenzo Luporini, nipote del geniale cantautore: “La libertà non è star sopra un albero / non è neanche il volo di un moscone / la libertà non è uno spazio libero / Libertà è partecipazione”.
La partecipazione richiama immediatamente, come se fosse inserita in un sistema binario di due stelle gemelle, un’altra parola che è comunità: il teatro è il luogo dove le persone si ritrovano e si uniscono, vivendo un’esperienza unica e irripetibile, formando una comunità che pensa, si emoziona, sogna insieme. Grazie alla lettura animata Tarabaralla. Il tesoro del bruco baronessa, scritto e musicato da Elisabetta Garilli, abbiamo potuto apprendere come l’importanza del valore dei sogni e di una comunità che sogna si possa affrontare anche con spettacoli dedicati ai più piccoli. «Ciascuno cresce solo se sognato» scriveva il sociologo Danilo Dolci in una poesia: io cresco solo se faccio parte del sogno di qualcun altro e affinché una comunità cresca, a volerlo, a sognarlo, devono essere le persone che ne fanno parte.
In questa concatenazione luminosa non può non esserci l’incontro con l’altro come tanti degli spettacoli proposti dal palinsesto di segninonda.org ci hanno ricordato: abbiamo visto come l’incontro di Cenerentola con Rossini e Ferretti in Cenerentola. Rossini all’opera, prodotto dalla Fondazione TRG Onlus con la regia di Nino D’Introna, abbia dato vita a una storia meravigliosa, o come in Umano ma non troppo di Faber Teater, in cui l’altro è rappresentato da un robot, se inizialmente la diversità può destabilizzare, poi possa spostare il nostro orizzonte aprendolo, allargandolo, facendoci crescere.
Crescere è un’altra parola che va a costruire questa costellazione speciale: ma come si cresce? Sicuramente abbandonando la solitudine nelle nostre vite e accogliendo l’altro come ci ha ricordato lo spettacolo olandese Hermit di Simone de Jong; oppure si matura lentamente e con cura attraversando le stagioni della vita e quelle dell’infanzia come ci ha mostrato Fiume di voce prodotto da delleAli Teatro con la regia di Giada Balestrini. Si cresce incontrando gli altri, confrontandosi, proprio come hanno mostrato i Teen Ambassadors Across Europe – progetto di cooperazione europea che coinvolge ragazzi adolescenti che si interrogano sul teatro per ragazzi – che durante Segni hanno aperto tavoli di raffronto con artisti, riflettendo su ciò che hanno visto, facendo sedimentare le loro impressioni, facendole germogliare e diventare altro, uscendo cambiati.
Si collega qui una domanda che in questi giorni ha attraversato i vari interventi dei critici Giovannelli, Graziani e Toppi intervenuti al festival, scorrendo sotterranea a tutto il festival, come un fiume carsico: quale è il ruolo dell’arte? Se il teatro come dice Eugenio Barba è il luogo del superfluo ed è fondamentale non farcelo portare via, o è il luogo dove possiamo incontrare i nostri fantasmi o dove avviene il confronto con l’inedito, forse è anche l’atto che fa compiere una trasformazione dentro di noi: si esce cambiati dall’incontro con l’esperienza artistica e per questo ci si sente vivi. Vivo il teatro, dunque sono.
Carlotta Tringali
(In copertina: Fiume di voce di Giada Balestrini, ph: Virginia Malaguti)
Questo articolo fa parte dell’osservatorio critico su Segni New Generations Festival