di Anca Visdei
traduzione di Mariella Fenoglio
regia di Matteo Alfonso
visto al Teatro Elfo Puccini di Milano _ 10-14 giugno 2014
Giunta alla terza edizione, la rassegna Nuove storie dell’Elfo conferma il suo valore di prestigiosa vetrina per giovani compagnie e autori di buon livello, ma ancora sconosciuti al grande pubblico. Questa volta è toccato alla drammaturgia romena contemporanea, pressoché ignorata dalle scene italiane; a rappresentarla è Anca Visdei – romena naturalizzata francese – con una vivace piece che prende le mosse nella cupa Bucarest degli anni Settanta e tocca con leggerezza tematiche forti come la dittatura e lo sradicamento.
Una colorata parete di abiti appesi e un sottofondo di musica pop portano da subito il pubblico nel mondo delle protagoniste, due sorelle poco più che adolescenti: Alexandra (Barbara Alesse) è un’aspirante scrittrice ostile al regime, mentre Joanna (Irene Villa) è attrice. Ben presto le confidenze e le chiacchiere – un vitale cicaleggio tutto sopra le righe, a contrastare con ciò che accadrà dopo – vengono bruscamente interrotte dall’emigrazione di Alexandra in Svizzera, dove viene accolta come rifugiata politica.
Il percorso delle due ragazze procede in parallelo: Joanna ottiene in un primo momento discreto successo sulle scene ma finirà la sua carriera in malinconici teatri di provincia, mentre Alexandra deve fare i conti con il peso dello sradicamento e della solitudine. Le lettere scritte in codice per aggirare la censura lasciano emergere tutto lo spaesamento dell’emigrante, ma anche l’urgenza di dimostrare il proprio valore: ed è questa la parte più vibrante e riuscita dello spettacolo, in cui le note autobiografiche emergono da un ben congegnato scambio di battute e dallo sdoppiamento dello spazio scenico, a rimarcare la distanza fra i due mondi.
La storia emoziona nella sua semplicità, e la sobria regia firmata da Matteo Alfonso lascia spazio alla scrittura snella e contemporanea della Visdei, capace di riflettere senza retorica sulla storia recente del proprio paese; pochi oggetti scenici (due letti, una macchina da scrivere, due tavolini), ritmo sostenuto, un’attenta scelta delle musiche sono gli ingredienti messi in campo per uno spettacolo che, se si eccettua qualche sbavatura nella prima parte, appare ben calibrato. Ma è soprattutto la direzione delle due attrici il punto di forza: all’intensa interpretazione di Barbara Alesse e Irene Villa, entrambe diplomate alla Scuola del Teatro Stabile di Genova, sono dedicati i caldi applausi sul finale.
Simona Lomolino