Laboratorio sperimentale TeatralnY Kvadrat
- Minsk (Bielorussia)
drammaturgia, regia, scene e costumi di Anna Sulima
Visto al Teatro Ringhiera di Milano_ 25-27 aprile 2014
Russo, bielorusso, polacco, francese e tedesco. E poi teatro, musica, danza, storia e poesia. È uno spettacolo poliglotta e polisemico quello portato in scena a Milano dalla compagnia bielorussa TeatralnY Kvadrat, che ha visto il suo primo debutto in Italia in occasione del 25 aprile.
In un importante giorno di festa nazionale, al Teatro Ringhiera è stata ricordata un’altra cruciale liberazione per la storia non solo del nostro Paese ma dell’intera umanità, quella dal nazismo e dai suoi atroci campi di concentramento. La coraggiosa drammaturgia, scritta, diretta, nonché interpretata da Anna Sulima, riporta il dramma della Shoah con riserbo, quasi in punta di piedi. Un dramma che deve essere ricordato perché – come lapidariamente suggerito da Brecht – “il grembo che ha generato quel mostro è ancora fecondo”, ma che, allo stesso tempo, non può essere nominato. Ad assumersi l’onere della memoria è dunque uno spettacolo orfano di un nome, Senza titolo.
Pochi gli oggetti scelti per rievocare il clima di quegli anni: qualche valigia logora e modesta, una menorah (il candelabro ebraico a sette bracci), le stelle gialle di stoffa a sei punte, le kippah, una sedia, un baule e un pupazzo. Niente fronzoli e retorica ma una scenografia semplice e funzionale per dar vita a una rievocazione dall’intento tutt’altro che documentaristico e descrittivo, ma piuttosto dal carattere fortemente simbolico e allusivo. Merito anche delle suggestive musiche eseguite dal vivo da Denis Kudrjavcev e Pavel Dorochin, le cui note, ora stridenti, ora malinconiche, accompagnano in modo felicemente simbiotico l’intera narrazione e della dimensione rievocativa e corale della rappresentazione.
Dodici sono gli attori che, come in una processione dolente, attraversano le tappe di un ineluttabile destino, quello che subirono le milioni di vittime dell’Olocausto: dalla mortificazione del corpo allo spaesamento interiore, dalla perdita dell’identità alla disumana violenza e umiliazione, dalla sconsolata disperazione al salvifico rifugio nella propria fede. Un itinerario drammaturgico coerente e fluido che rifugge il linguaggio didascalico e dimostrativo e ricerca, invece, un rapporto empatico e viscerale con il pubblico.
Il linguaggio dall’impronta fortemente gestuale e coreutica rende lo spettacolo comunicativo anche per un pubblico internazionale; e se la presenza di sottotitoli avrebbe senz’altro reso più agevole la comprensione dell’azione scenica, il sintetico libretto di sala ideato dal critico e produttore Claudio Facchinelli resta un ottimo strumento per la comprensione e l’approfondimento a posteriori.
Il dovere della memoria, sul palco del teatro Ringhiera, non diviene vuota celebrazione declamatoria, ma intimo e prezioso tributo.
di Alessandra Cioccarelli