drammaturgia e regia di Omar Nedjari
visto al Teatro Delfino di Milano_ dal 12 al 17 marzo 2012
Amleto è un malato in sedia a rotelle, Macbeth un ingenuo pescatore dall’animo gentile, la vicenda di Romeo e Giulietta un pezzo da cabaret.
Così Omar Nedjari mette in scena il suo Shakespeare a pezzi al teatro Delfino di Milano.
Gli episodi si susseguono intervallati da momenti di buio e la scenografia rimane la stessa: un ambiente essenziale, funzionale all’evocazione di luoghi differenti, con pannelli girevoli che rappresentano grigi drappeggi e portoni del palazzo.
Lo spettacolo si apre con un divertente prologo recitato dallo stesso regista, che immerge immediatamente lo spettatore nello spirito della pièce. Con un paradossale vortice di scambi di identità tra i drammaturghi del tempo, Nedjari ci ricorda come spesso le dispute storico-letterarie su Shakespeare e le sue opere non siano altro che dotti esercizi. A contare non è la vera identità di William Shakespeare, ma il modo in cui le sue opere sopravvivono sulle scene di oggi: come dare vita alle parole del drammaturgo, ormai avvilito dalle infinite repliche delle sue tragedie e commedie? La critica è forte ed è diretta a chi propone ogni anno i testi del Bardo senza alcuna innovazione registica significativa, nelle forme più trite del teatro tradizionale. Nedjari si diverte a mostrarci cosa accade quando i personaggi diventano manichini inespressivi, privi di linfa vitale: lo spettro del padre di Amleto perseguita il figlio a intervalli regolari, ripetendo con recitazione barocca e cadenzata la stessa battuta e riducendo il giovane ad una condizione di atona depressione.
Ed ecco che, tra provocazione e riscrittura, le tragedie diventano pièce comiche: il lato farsesco dei personaggi, pur mantenendosi coerente con la loro fisiologia, viene amplificato anche con citazioni e riprese di altri autori (in Macbeth risuona, per esempio, la fiaba Il pescatore e sua moglie dei fratelli Grimm). Lo scarto tra le innovazioni e il testo originale resta ben ponderato e gli attori – Gabriele Bajo, Angelo Colombo, Marta Lucini, Omar Nedjari e Fabio Sarti – sanno restituire attraverso il ritmo e la cura dei dettagli l’essenza di molti dialoghi shakespeariani. Si ride di molte trovate (una su tutte: Rosencrantz e Guildenstern trasformati in stupidi cani da guardia del re) e si riflette sulle sorti non sempre fortunate dei testi del Bardo sulle scene contemporanee.
Unico punto debole – già in nuce nel titolo – è forse l’eccessiva frammentazione delle scene, che toglie unità allo spettacolo e ne enfatizza il carattere cabarettistico lasciando, a tratti, l’idea di un collage.
La struttura offre però allo spettatore interessanti risvolti interpretativi: i quadri sono assaggi di spettacoli in potenza, sono possibilità date ai personaggi di rivivere in un altro modo, sono composizioni compiute da proporre anche singolarmente, persino in spazi non teatrali.
Camilla Lietti