In questi ultimi anni Milano ha saputo creare vetrine e occasioni di scambio per le giovani compagnie attive sul territorio lombardo, dall’ormai consolidato IT Festival al nuovo Melting Milano. Ora è il turno di W.A.Y.: al grido di “We Are Young” l’Associazione Etre – che raccoglie in un network residenze teatrali e multidisciplinari lombarde – ha aperto le porte a sei compagnie emergenti (under 35 o fondate da meno di tre anni) per sostenerle in termini di produzione, affiancamento professionale e promozione. Ogni compagnia è stata selezionata e poi ospitata da un socio Etre (Residenza I.DRA, teatro in-folio Residenza Carte Vive, Associazione K/Manifattura K, Residenza Teatrale Ilinxarium, Qui e Ora, Nudoecrudoteatro, Dance_B/artedanzae20) rafforzando così una già proficua rete di relazioni e scambi.

Il sipario sui lavori in corso è stato alzato lo scorso 11 dicembre, anche grazie al sostegno di Regione Lombardia: un’intera giornata presso DanceHaus pensata come una sorta di laboratorio aperto in cui fare circolare idee, relazioni, opinioni e sguardi. Le presentazioni dei lavori sono state così intervallate da pause di confronto e scambio, per favorire le riflessioni e i feedback dei molti operatori presenti.
Le compagnie hanno mostrato di intendere in modo diverso l’opportunità offerta: alcuni gruppi hanno presentato nuclei ancora non definitivi di una ricerca in corso, altri lavori pressoché completi (per esempio Polvere di Il ServoMuto/Teatro), altri ancora brevi estratti di lavori più ampi e già avviati (come il Giulio Cesare della compagnia I Demoni, uno spettacolo compiuto che sta già affrontando una tournée). Pur nell’eterogeneità dei percorsi, è possibile provare a tracciare qualche riflessione trasversale: come spesso accade, le vetrine sulle giovani realtà rappresentano una preziosa occasione per provare a fotografare tendenze e prospettive.

Cosa ci raccontano i risultati di lavoro delle sei residenze under 35? Cosa bolle nella pentola della giovane creatività lombarda? Innanzitutto va registrata – ed è un buon segno – una notevole varietà dal punto di vista formale: dal teatro di parola alla danza, dal teatro di attore al teatro di regia, la molteplicità dei registri è emersa come evidente filo conduttore della giornata.
Non solo: tanto negli spettacoli più orientati a una dimensione performativa, quanto in quelli indirizzati alla parola, a prevalere sono le partiture drammaturgiche originali, pensate ad hoc dalla compagnia. Unica eccezione della giornata, il Giulio Cesare dei Demoni diretto da Alberto Oliva, che attraversa il classico shakespeariano con una lente schiettamente registica.

In questo quadro di attenzione ai nuovi testi rientra Tre [+1] sit tibi terra levis di Ex Drogheria & Co, già segnalato dal Premio Hystrio Scritture di Scena. Al centro della vicenda un limbo post mortem, dove i tre personaggi (più uno) del titolo si raccontano le proprie esperienze di fine-vita. L’impianto drammaturgico costruito sul testo di Sara Pessina (anche alla regia), spinge il tasto su un crescente senso di inquietudine e claustrofobia. E mentre i dialoghi diventano sempre più fitti, anche l’apparato scenografico (un ring di legno, costellato di botole, cassetti e cassettini) costringe gli interpreti a una gestione dello spazio via via più difficoltosa. Un’impostazione che se da un lato mostra una certa consapevolezza della costruzione drammaturgica (intesa qui come parola e come movimento) dall’altro rischia di sfociare in un eccessivo gusto per l’artificio barocco.

Anche Polvere di Il ServoMuto/Teatro parte da una non semplice ricerca drammaturgica: la scrittura scenica – curata dall’attrice Marzia Gallo con il regista Michele Segreto – assorbe il punto di vista di una bambina alle prese con una fase importante della sua crescita, riportandone mimeticamente ingenuità e scoperte. La composizione testuale sembra procedere in simbiosi con la pratica attorale, accompagnando l’interprete nel difficile obiettivo di calarsi nei panni della piccola protagonista senza cedere al rischio della caricatura.
L’originalità della scrittura spesso passa anche per la riappropriazione attiva di un patrimonio letterario classico e acquisito: è il caso di Heroes – oltre il mantello c’è di più della compagnia Figli Maschi, che riattraversa le vicende epiche di Achille e Patroclo orientandole a una lettura fortemente contemporanea, attenta alle dinamiche di genere. Il dramaturg Lucio Guarinoni riscrive e reinterpreta, facendo risuonare gli archetipi eroici con brucianti frammenti di attualità, in un’alternanza di dialoghi e sequenze coreografiche.

Non meno attenzione per le composizione drammaturgica si riscontra anche nei lavori che si confrontano con linguaggi non verbali. In Metafore del silenzio-Un primo studio in Silenzio della compagnia Guinea Pigs e nel lavoro della danzatrice Arianna Rodeghiero (In Between) il linguaggio del corpo tenta di restituire la complessità di uno stato intimo: al solo gesto il compito di tradurre in scena condizioni mentali limite.
Il lavoro di Guinea Pigs, ideato insieme alla danzatrice Betti Rollo, ruota intorno al silenzio, inteso come circostanza privilegiata di dialogo con l’io. In un oscuro e misterioso passo a due la personificazione di Silenzio (Marco De Francesca) accompagna Persona (Betti Rollo) in un incontro/scontro con il proprio mondo interiore. Il percorso si svolge interamente in un salotto la cui dimensione casalinga e intima si perde in un’atmosfera fin da subito claustrofobica. Sono innanzitutto le luci a creare, con la scelta di un’illuminazione dall’alto filtrata attraverso una griglia, un ambiente sotterraneo e interiore. Anche la musica strumentale, spesso vicina al puro rumore, contribuisce alla sensazione di trovarsi in un luogo atemporale, in uno spazio della mente. Il lavoro è proposto in una prospettiva multifocale le cui componenti agiscono quasi in parallelo: luci, movimento, recitazione e musica interpretano il silenzio dal proprio particolare punto di vista. In una dimensione così caratterizzata il silenzio diventa non solo l’espediente necessario ad aprire le porte della coscienza ma anche, quasi per osmosi, la voce del nostro mondo interiore. Attraverso movimenti a tratti vicini alla danza a tratti più simili a una lotta, le identità dei protagonisti sono infatti destinate a sfumare progressivamente l’una nell’altra.

Non meno difficile la sfida intrapresa da Arianna Rodeghiero che pone al centro della sua coreografia un particolare stato psicologico: il momento del ricordo e lo stato di transizione, tutto mentale, tra passato e presente. A fare da stimolo all’emergere della memoria è il suono, a cui rispondono i movimenti della danzatrice in un flusso ininterrotto, quasi uno stream of consciousness danzato. L’effetto è quello di trovarsi in sala prove a “spiare”, come indicano anche le note di regia, il lavoro della danzatrice. In questo senso il lavoro della Rodighiero, realizzato con il sostegno di ArtedanzaE20 e DanceHaus, fa del suo stato di work in progress una caratteristica di stile, in cui il rapporto tra musica e gesto non ruota solo attorno al tema della memoria, ma sembra anche ricalcare lo stesso processo creativo della coreografia.

Ed è proprio il processo creativo a porsi sempre più spesso al centro dell’interesse dei critici e degli operatori teatrali. L’incontro con gli artisti non si limita ormai al momento del debutto in sala ma, soprattutto nel caso di residenze, il tentativo è quello di confrontarsi in più tappe nel corso della creazione dello spettacolo. W.A.Y. si colloca a pieno titolo in questa tendenza, proficua anche per critici e professionisti di settore per conoscere le modalità di lavoro dei singoli gruppi e individuare linee di lavoro delle giovani compagnie. Un percorso che, al di là del singolo risultato, ha l’obiettivo di fornire e mettere in circolo buone pratiche e nuovi nomi, con la speranza di vederli comparire nei cartelloni teatrali di domani.

Camilla Lietti e Francesca Serrazanetti