Spellbound 25 è l’unione di quattro differenti progetti artistici presentati insieme in onore dei 25 anni della compagnia Spellbound Contemporary Ballet. Assoli, performance collettive, danze astratte o narrative, qualcuna dall’impostazione più intima, altre apertamente estroverse a mostrare tutta la gamma di espressività della compagnia romana. In Marte – coreografia di Marcos Morau – un gruppo di danzatori si trasforma quasi in un organismo tentacolare: un’entità che ha un centro, un nucleo pulsante, ma al contempo è ricca di periferie – tentacoli appunto – che ne influenzano il moto, e spesso lo indirizzano, creando una moltitudine di forme astratte in continuo movimento. Capita che qualcuno dei performer si stacchi dalla figura portando in scena una singolarità per poi rientrarvi generando continui “dentro e fuori” in cui si intravede una conflittualità: quella tra individuo e collettività.
Dopo la prima pausa è la volta di Affi un assolo ideato da Marco Goecke e interpretato per MilanOltre 2020 da Mario La Terza. Nei rapidi movimenti La Terza pare che insegua i suoi stessi arti: le mani vibrano veloci come farfalle e lui le rincorre come un bimbo incitato dal fischiettio di una filastrocca. Non solo le mani, ma anche le braccia e tutte le estremità si muovono repentine in ogni direzione: è una danza tesa, nervosa e angosciata, quasi che, attraverso questa velocità, si miri a liberare di qualcosa, forse il corpo stesso.
C’è poi la misteriosa coreografia di Mauro Astolfi, Unknown Woman, ideata su misura per Maria Cossu a indagarne l’intimità, la sua essenza di artista e donna. Colma di sfumature e modalità differenti, la danzatrice è sciolta e rapida, altre volte delicata e silenziosa, altre ancora disperata. In esplorazione del mondo e di sé stessa, Cossu sembra inseguire dei pensieri, delle parole e, nella moltitudine dei movimenti, per lo spettatore è davvero possibile scorgere il ritratto della complessità di un essere umano.
In ultimo viene presentato Wonder bazaar, altra ideazione di Mauro Astolfi. E così ci troviamo catapultati in uno scenario distopico, dai colori spenti, fatto di solo beige, grigi e pallidi azzurri. Protagonisti sono i danzatori e uno strano macchinario dalle funzioni misteriose. Nulla è spiegato, ma ciò che è evidente è che i danzatori, veri e propri personaggi di una narrazione, questa macchina non possono ignorarla.
Vi danzano spesso intorno, e anche quando ciò non accade, la sua presenza rimane palpabile. Concentrati sul macchinario i danzatori non comunicano molto tra loro, fino a che qualcuno non osa ribaltare le dinamiche messe in atto fino a quel momento, per riportare il linguaggio a quello dei corpi. Finalmente un linguaggio umano!
Giorgia Angioletti
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview