di Andrea Capra

La favola narrata da Aristofane nel Simposio rivela la profondità e la passione con cui Platone ha fatto suo il teatro comico: dai fatti di lingua e di stile, con la ripresa di immagini strampalate e grottesche, fino al tema molto generale della nostalgia per una natura perduta, che coglie acutamente il senso profondo della commedia antica. Ma Platone ricerca un uso del comico diverso, come ben chiarisce l’immagine dal rozzo Socrate-Sileno che si dischiude per rivelare al suo interno sublimi profondità. Aprire il comico: è proprio questo il principio in base al quale Platone rilegge le trovate burlesche di Aristofane, in un impasto innovativo di commedia e tragedia. L’intento di aprire il comico, dichiarato espressamente nel Simposio, trova poi applicazione concreta in una girandola di figure che Platone ruba alla commedia: meteorologi chiacchieroni, filosofi-cicala, tafani parlanti, psicagoghi… Si tratta sempre di beffe che la commedia aveva rivolto alla filosofia, e che Platone non respinge ma ironicamente prende sulle spalle e reinterpreta, per poi aprirle fino a scoprirvi significati nuovi e positivi. Il teatro di Aristofane costituisce dunque una sorta di cellula generativa della scrittura platonica.