di Alessandra Ventrella
regia di Manuel Renga
visto al Teatrino della Scuola Civica Paolo Grassi di Milano _ 11-13 luglio 2013

Talassemia, la malattia che viene dal mare. Ecco la compagna d’infanzia di un piccolo paziente, che dalla sua stanza d’ospedale cerca di decifrare la complicata realtà che lo circonda, a cominciare da quel nome – talassemia – che suona come una minaccia, ma anche come una magia.

A raccontare la coraggiosa battaglia di Tamburino sono i giovani artisti della Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi: l’autrice del testo è Alessandra Ventrella, Manuel Renga ne cura la regia, mentre Davide Lorenzo Palla, solo in scena, evoca la malattia attraverso la voce, i gesti e lo sguardo di un bambino pieno di fantasia e di coraggio, che porta il nome del suo eroe preferito.
Un diario, regalo della mamma, costituisce l’occasione per il racconto del lungo periodo di ricovero in ospedale: la scrittura diventa così per Tamburino lo strumento privilegiato di comprensione del mondo circostante e, al contempo, di reinvenzione di quello stesso mondo.

Il piccolo paziente immagina il nemico che si annida nel suo sangue e lo costringe a continue trasfusioni come un alieno; mentre i medici e i ricercatori diventano i coraggiosi eroi dello spazio impegnati a combatterlo ogni giorno. La battaglia è durissima e può accadere che il nemico vinca, come nel caso di Carlotta, la bambina che aveva condiviso con Tamburino un’amicizia profonda, nata in un reparto d’ospedale, e interrotta spietatamente dalla vittoria dell’alieno.
Alessandra Ventrella riesce nell’impresa non facile di raccontare la vita attraverso i pensieri e il linguaggio di un bambino tra i sei e gli otto anni (questa l’età che lo spettatore immagina per Tamburino); la lingua mimetica e creativa con cui si esprime il piccolo protagonista coivolge lo spettatore senza cedere al patetismo o alla retorica.
L’interpretazione di Davide Lorenzo Palla si distingue per una sensibilità e una delicatezza profonde che riescono a contagiare il pubblico e a renderlo pienamente partecipe dei pensieri, delle fantasie, delle paure reali e oniriche di Tamburino.

Ad una drammaturgia dallo sguardo acuto e delicato e ad un’intensa prova attoriale si affianca una regia che sa rendere dinamico un racconto potenzialmente statico e creare variazioni di atmosfera attraverso la scelta delle musiche talvolta sorprendente e ad un riuscito l’uso delle luci. In scena vediamo Tamburino dibattersi in un labirinto di tende d’ospedale, che diventano all’occasione schermi protettivi, trappole avvolgenti o superfici per disegnare i propri incubi con un tratto forte e rabbioso di vernice rossa.
Un’ottima prova per un team di lavoro giovane ma già convincente, che ci auguriamo di ritrovare nella programmazione di una sala milanese.

Alice Patrioli

 

Questo articolo è stato elaborato nel contesto del corso di critica teatrale “Critici in erba”, organizzato dalla Scuola Civica d’Arte Drammatica Paolo Grassi, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano.