Da alcuni anni collaboriamo con Sosta Palmizi per progetti di formazione e avvicinamento del pubblico alla danza: quest’anno abbiamo lavorato con il Liceo Coreutico di Arezzo, nell’ambito di un precorso di visione degli spettacoli di Invito di Sosta.
Gli studenti e le studentesse della III liceo si sono cimentati in una prova di scrittura critica dopo la visione di Granito.
Su questa pagina pubblichiamo alcuni estratti dei loro testi, a formare un mosaico di sguardi e opinioni sullo spettacolo:
«I tre corpi parzialmente nudi sono curvi verso il basso, non si vede mai il volto, si muovono in modo indipendente l’uno dall’altro e quando si incontrano si urtano a vicenda, non entrano realmente in contatto, almeno in un primo momento. Ad un certo punto infatti accade un incidente, lo stesso che accadde all’ameboide e al ciano batterio tantissimi anni fa: l’ameboide tenta di mangiarsi il ciano batterio, ma non riesce né a digerirlo, né ad espellerlo e i due imparano a convivere uno dentro l’altro, formando la prima cellula eucariote. Ecco che, allo stesso modo, i tre corpi diventano uno solo, ottenendo una forma davvero bizzarra; con le loro scapole riescono ad ottenere un incredibile effetto di “pulsazione”, generando un’unica creatura viva dalla consistenza magmatica. Ma la cellula eucariote a sua volta fa un miracolo: riesce ad organizzarsi in colonie sempre più grandi e complesse, fino a generare gli organismi pluricellulari. È a questo punto infatti che le danzatrici si alzano in piedi e per la prima volta si distinguono bene le loro fisionomie, rivelate da un lento spostamento dei capelli su un lato della testa. Cambia l’ambientazione: questa volta la luce è più forte e dà una sensazione più fredda, bianca, sterile; forse questa sensazione potrebbe essere accentuata dai vestiti, quasi del tutto bianchi, che nel frattempo, in un momento di transizione, hanno indossato. Anche la musica cambia e gioca un ruolo importante, specialmente in questo secondo momento. Se prima era indefinita e poco accentuata, adesso invece il beat è ripetuto in loop in modo ben scandito, ed è rispecchiato nel movimento base che consiste in un rigido tilt dell’intera parte superiore del corpo, ripetuto simultaneamente in modo identico da tutte e tre, come fossero un perfetto meccanismo alimentato da tre ingranaggi. Tutto ciò conferisce ordine e razionalità; queste sono le forme di vita composte della stessa materia informe e caotica della prima fase che nel frattempo si è evoluta assumendo una composizione più articolata e complessa».
Daniele Moretti
«Domenica, andando allo spettacolo, mi sono sentita elettrizzata, non vedevo l’ora di scoprire cosa sarebbe successo sul palco. Iniziata la performance, ero molto stranita perché non riuscivo a capire cosa stesse accadendo e, più passava il tempo, più cercavo di dare un significato a ciò che vedevo. In certi momenti le immagini proposte dalle danzatrici erano molto inquietanti: ad esempio quando le performer erano posizionate a piramide, coprendosi il volto con i capelli. Nei loro gesti ho notato soprattutto i movimenti degli arti, gli allungamenti dei muscoli, nonostante l’impedimento creato dalla rigida struttura della piramide. Per molto tempo le danzatrici sono rimaste così, allungandosi e scontrandosi tra loro, dando l’idea di una lotta. Ed ecco che improvvisamente si alzano e togliendosi i capelli dal viso, scoprono la loro essenza, trasmettendo al pubblico un senso di naturalezza che viene sottolineato anche dalla scelta della musica».
Aurora Mingolla
«Nel silenzio le danzatrici si sciolgono i capelli, e, nel trascinarsi ed aiutarsi a vicenda, i loro gesti si trasformano in una vera e propria lotta; anche i capelli danzano come se si volessero ribellare dal corpo e avere un movimento proprio. Questa fase dello spettacolo mi ha ricordato le differenti sembianze che può assumere la terra in un continuo ciclo di creazione e distruzione: il terreno, che accumulandosi può creare montagne che si possano scontrare tra loro, generare un terremoto e quindi un disgregamento della materia stessa e che ritorna quella di partenza».
Greta Pozzozengaro
«Come la trasformazione da bruco a farfalla le performer hanno iniziato a muoversi con movimenti lenti a terra, strisciando, e poi, come accade in natura, dopo un processo lento, diventano finalmente farfalle: nel momento in cui scoprono i loro volti avviene la rinascita. In questa prima parte le danzatrici sono nude e i capelli coprono i loro volti dando un tocco un po’ macabro. Nella seconda parte viene invece rappresentata la transizione della materia: le danzatrici si spostano nello spazio muovendosi all’unisono. Quando le performer si spogliano, inizia la terza parte in cui si muovono libere, scatenate, ed è bellissima l’unione tra i loro movimenti accentuata dagli effetti della luce. Dopo tutta l’energia messa nella coreografia la musica è finita e si sentiva solo il loro respiro».
Sophie Piccio
Granito
un progetto del Collettivo Munerude
di e con Francesca Antonino, Laura Chieffo, Ilaria Quaglia
musiche di Gabriele Ottino e Anything Pointless
luci Mattia Bagnoli
costumi Maatroom
produzione Déjà Donné, Sosta Palmizi
progetto realizzato con il sostegno di PERMUTAZIONI – coworking coreografico a cura di Casa Luft, Zerogrammi e Fondazione Piemonte dal Vivo, Cavallerizza Irreale – Torino, H(abita)T – Rete di Spazi per la Danza/ Leggere Strutture/ Comune di Budrio, ART BO, ALDES/SPAM! rete per le arti contemporanee, Hangart Fest, finalista premio Twain Direzioni Altre.
Selezionato per la Vetrina Giovane Danza d’Autore Anticorpi XL 2020; Selezione Visionari Kilowatt Festival 2020
Progetto realizzato con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Toscana, Fondazione CR Firenze.