Il nome “Metropolis” richiama alla mente quegli enormi grattacieli e quelle gremite sopraelevate immaginate da Lang nel 1927. E con esse ci si ricorda dei cittadini di Metropolis, tanto ricchi quanto disoccupati, e delle sue fondamenta, abitate da orde di quelli che solo un tempo sono stati uomini, trasformati in sub-umani, in schiavi per mantenere in vita la città. Enormi fabbriche, macchinari spropositati, scienziati folli, esperimenti d’ogni genere, robot che imitano la vita. Il nuovo millennio creato da Fritz Lang non sembra essere poi tanto diverso dalla realtà in cui viviamo. Gli uomini-schiavi nella nostra contemporaneità sono incarnati dai migranti che, inevitabilmente, alterano “la fisionomia e i pensieri di ognuno di noi, mettendo in crisi le nostre consuetudini quotidiane, obbligandoci ad un comportamento di apertura verso queste ‘nuove persone’ ”, come scrive Giampiero Solari, direttore del progetto e della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi che lo promuove. Il tema è infatti quello del cambiamento, della trasmigrazione di culture affrontato attraverso sedici micro-spettacoli di giovani artisti europei (partecipano al progetto realtà teatrali di Spagna, Germania, Repubblica Ceca, Romania e Slovacchia, oltre che italiane) da sperimentare in movimento: quello fisico di spostamento da uno spazio a un altro e quello della mente, spinta in una spirale di riflessioni dalle variazioni sul tema della migrazione messe in scena.

Da spettatori, all’ingresso di Via Salasco 4, ci si trova di fronte un cancello chiuso, un campanello che non restituisce alcun suono e, più avanti, una guardiola con la scritta “dogana”. La sede della Paolo Grassi è da sempre fatta così, ma per Metropolis si rivela una scenografia di per sé perfetta. Alla “dogana” viene consegnato un passaporto con un timbro, rosso o blu a seconda del percorso, che apre le porte all’esplorazione. Ne nasce una piccola migrazione in due gruppi, che trasforma gli spettatori in migranti, condotti, spettacolo dopo spettacolo, in un labirinto di sale, corridoi e scale. Il pubblico è risucchiato in una spirale in cui luoghi e percorsi si ripetono, diventano familiari, ma si trasformano al contempo in qualcosa di altro: è chi li abita a modificarli, a farne contenitori di volta in volta differenti. Nelle quasi quattro ore di ‘viaggio’ muta la psicologia del gruppo, che si muove insieme, unito, coeso; la parete che divide gli individui implode, si realizza un incontro, si riconoscono le fisionomie degli altri, si percepisce la loro vicinanza.

Il panorama ‘spettacolare’ che il pubblico si trova di fronte è estremamente eterogeneo, spazia dal teatro dell’assurdo, come in In a Cage di Enrico Baraldi e Milan Zavda, a quello ‘oltre l’assurdo’, con influenze pop de La grande invasione degli unicorni in Europa, di Riccardo Tabilio per la regia di Diana Pacurar, ai monologhi iper-contemporanei su realtà virtuale e manipolazione dell’informazione de Il Silenzio nelle Masse di Katarina Vozàrovà, con la regia di Enrico Baraldi. Si sperimenta anche l’assenza di recitazione con Relax Pool, regia di Claudia Corona e testo di Marek Turoŝìk, in cui gli attori in scena si confondono con il pubblico e solo una voce meccanica si fa loro (inquietante) guida, ci sono poi racconti individuali e personali, come nel caso di I palazzi esplodono. Edgar compra la dinamite di Tatjana Motta, sempre per la regia di Claudia Corona, fino a No border machine, testo di Matteo Caniglia e regia di Petra Kovalĉìkovà, che immagina un futuro distopico privato delle parole, alla 1984 di Orwell.

I gruppi dei due percorsi confluiscono infine, per l’ultimo spettacolo, Effetti non personali di Riccardo Favaro, regia di Marek Slovàĉek, nella sala del teatro principale: due comunità migranti che si ricompongono, insieme agli artisti che, dopo aver sperimentato sulla propria pelle la realtà dei centri di accoglienza – in particolare nel quartiere Lorenteggio di Milano – si fanno essi stessi ‘migranti’, da uno spettacolo a un altro, da un ruolo a un altro. Il viaggio di Terre Promesse prosegue così nella direzione di quella collaborazione e cooperazione creativa che hanno unito scenografi, drammaturghi, registi e attori. Un interscambio che dà concretezza, non solo scenica, a un grande racconto della nostra contemporaneità.

Camilla Fava

Terre Promesse – Metropolis
visto alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi _dal 23 al 29 ottobre 2017