La scena è scarna, minimale: un fondale in seta grigio mosso lentamente dal soffio di due ventilatori, il cui ronzio costituisce la base sonora dello spettacolo. Nessun appiglio, dunque, allo spettatore che cerchi di dare una spiegazione narrativa a ciò che osserva: Fabrizio Favale lascia spazio alle innumerevoli, personali, interpretazioni del pubblico. L’attenzione è tutta incentrata sui danzatori che, in aderenti tute bianche, smontano e rimontano le sequenze coreografiche in un rituale ciclico, in continua variazione, potenzialmente infinito.
I performer si alternano sul palco senza sosta: assoli e duetti, si alternano a sequenze d’insieme, nelle quali le forze attrattive e repulsive tra i corpi e il contesto si palesano con evidenza. La loro è un’indagine sui movimenti della vita, della natura, degli animali, sul cosmo; sul rapporto tra gli esseri viventi e l’ambiente che li circonda, sui sensi, sui presentimenti e sull’istinto. La danza astratta di Fabrizio Favale mira ad avvicinarsi a qualcosa di irraggiungibile: i corpi dei suoi danzatori attraversano mondi indefiniti, dialogano con il contesto fino a parlare il linguaggio della natura come in uno stato di perenne metamorfosi e trasformazione. Dopo trentacinque minuti di viaggio, gli organismi viventi di questo universo sono ancora in scena, la penombra diviene buio e si alza un applauso lungo e circospetto: la platea, stupefatta, sta ancora assimilando. Servirà tutta la notte per rifletterci su.
Roberta Demoro
The Rain Sequence
coreografia Fabrizio Favale
progetto Circeo coprodotto da Théâtre National de la Danse Chaillot, Paris, Le Supplici / Kinkaleri
Visto a MilanOltre il 1 ottobre 2017
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView