Aronica è morto: morto ammazzato.
Giace a terra, in mutande, coperto di ketchup, mentre Barra parla a un pubblico commosso: dopo anni insieme in tv, dopo centinaia di sketch e tormentoni portati dentro le case degli italiani, ora la coppia comica non esiste più. Si sono conosciuti da adolescenti ed è stato amore a prima vista, un rapporto fatto di riti, consuetudini e piccole attenzioni: come le sigarette che Barra gira ad Aronica quando sta guidando. Barra tiene il suo discorso, in piedi su una sedia: il trono del superstite, del comico “scoppiato” che ora si deve re-inventare; forse non gli dispiace troppo che tutti i riflettori siano puntati su di lui. Scende dal podio e cammina lentamente sul palco calpestando i cocci di un gatto cinese dorato di pessima fattura, che ha violentemente gettato a terra un momento prima: è il “prestigioso” premio che la critica gli ha attribuito alla carriera. D’improvviso prende il microfono e, concitato, bersaglia il pubblico di humor nero: battute razziste, maschiliste, non divertenti, banali, vecchie. È un tributo ad Aronica, riverso sul palco di legno: un omaggio al compagno di una vita che ha sempre insistito per portare in TV “le loro cose”, i loro sketch, e non solo un prodotto perfettamente commestibile e confezionato per milioni di famiglie italiane: le “loro cose”, però sono esattamente questo e nulla di più. Scende la calma. Aronica si rialza. In silenzio si riveste. L’odore del ketchup si percepisce fino a metà sala. Barra è seduto e fissa il vuoto; il suo sguardo vitreo è incorniciato dalle mattonelle di cotto della Sala Cavallerizza del Teatro Litta. Si volta lentamente, i due si guardano. C’è astio nel loro sguardo? Delusione? Rancore? O solo apatia? Finalmente Aronica parla: “Stefano, me ne giri una?”.

Miriam Gaudio, Emanuela Gussoni, Lidia Melegoni