Luk Perceval non era mai stato programmato in Italia: uno dei maggiori registi della scena belga (ed europea), direttore del Thalia di Amburgo, ha fatto parlare di sé nell’ultimo anno anche grazie alla scenografa della maggior parte dei suoi spettacoli, Katrin Brack, Leone d’oro alla carriera della Biennale Teatro 2017. Dopo un incontro nel 1990 ad Avignone, dove Brack firmava le scene di un lavoro di Matthias Langhoff, i due hanno avviato una collaborazione grazie alla quale hanno definito le rispettive poetiche: entrambe basate sulla relazione tra gli elementi della scena, su una certa astrazione metaforica e minimale e sul movimento. Per Perceval, la Brack ha immaginato il labirinto di ghirlande dorate stese dall’alto di Anatol (2008), o i fiocchi di neve che scendevano sul palco senza sosta per le cinque ore di Moliére (2007): entrambi esempi che raccontano un’idea di leggerezza e allo stesso tempo di densità data dalla moltiplicazione di un singolo elemento simbolico.

Una scenografia della Brack, e una regia di Perceval, arrivano dunque in Italia per la prima volta con The year of cancer. E il primo elemento che colpisce entrando nella sala Strehler del Piccolo Teatro, che ospita lo spettacolo, è proprio l’allestimento: i principi cari alla Brack vengono riproposti in modo evidente con la presenza di decine di bambole gonfiabili maschili sospese, che fanno mostra di peni in erezione all’altezza dell’ombelico.
Sono la rappresentazione (neanche troppo metaforica) di una sessualità vissuta in modo patologico da parte dei due protagonisti: una coppia che continua a cercarsi e a lasciarsi andare in una storia di tradimenti e di altalenanti equilibri, di ricerca e distacco. Un’ossessione – sembra essere qui il nodo centrale della regia – che diventa specchio della società intera: l’ossessione della soddisfazione sessuale a tutti i costi, l’aspettativa e il giudizio degli altri, la ricerca di un equilibrio nell’esigente schizofrenia contemporanea, i fallimenti e le sconfitte del quotidiano.

The year of cancer parte dall’omonimo romanzo pubblicato nel 1972 dall’autore belga Hugo Claus (1929-2008). È un’indagine sull’amore e sulla sua provvisorietà, attraverso una dinamica relazionale in cui è il bisogno di solitudine a vincere sulla dedizione, e il passato su un futuro negato a priori dalla malattia.
Quello che sembra interessare Perceval è, più che la vera e propria riscrittura del testo (curata insieme a Peter van Kraaij), il lavoro sugli attori e sui loro corpi. I loro movimenti amplificano le dinamiche di senso, creando una danza di gesti e parole. Come il regista stesso racconta, l’adattamento del testo è stato poi ulteriormente messo alla prova attraverso il processo mnemonico degli attori, svolto non “a tavolino” ma con la fondamentale mediazione di corpo e movimento. In questa relazione si avverte l’influenza delle origini di calciatore del regista, della sua pratica di yoga, ma anche della lezione di maestri come Grotowski e Kantor.
Da questa ricerca sul corpo passano ferocia e amore, rifiuto e passione, soddisfazione e insoddisfazione, affetto e distacco, risentimento e desiderio, possesso e bisogno di libertà: le contrapposte dinamiche di una relazione di coppia diventano rappresentazione di una condizione umana diffusa.

In questa centralità data al corpo manca forse qualche variazione, e si poteva lavorare a una maggiore concisione nell’adattamento del testo. Sembra quasi diventare marginale infatti l’evoluzione della drammaturgia, anche nella relazione con la conclusione del romanzo. Se l’evolvere della relazione tra i due è sviscerato dai corpi degli attori, la sua conclusione risulta quasi superflua nella sua restituzione scenica.
I movimenti che riempiono il disorientante “vuoto” della scena entrano in relazione con pochi ma significanti elementi. Oltre alle bambole, una bicicletta giocattolo e un pianoforte a coda, con musiche dal vivo di Jeroen van Veen. È una semplicità fatta di contrasti e contrappunti, capace di rendere concreta, anche oltre le parole, la complessità delle relazioni umane.

Francesca Serrazanetti

The Year of Cancer
di Hugo Claus
regia Luk Perceval
con Maria Kraakman, Gijs Scholten van Aschat
adattamento teatrale Peter van Kraaij, Luk Perceval
drammaturgia Peter van Kraaij
scene Katrin Brack, luci Mark Van Denesse
musica Jeroen van Veen
costumi Annelies Vanlaere, coreografie Ted Stoffer
produzione Toneelgroep Amsterdam
con il supporto di Mies e Jaap Kamp / van Meeuwen Kan fonds

Visto al Piccolo Teatro Strehler _  5-8 aprile 2018

Fotografie: Sanne Peper