In piedi. Il piede destro alla sinistra del piede sinistro. Le caviglie  si incrociano l’una sull’altra, mentre dalle ginocchia al bacino è tutto un contatto in tensione, un combaciare tradito, un equilibrio precario. Le gambe tremano appena. Per cercare di tenerle ferme, le mani vanno sulle cosce, e verso l’inguine. Il busto si sporge leggermente in avanti, gli occhi fissano dritti l’orizzonte.

foto: Elisa Vettori

È più o meno in questa posizione che Gabriele Portoghese, alias Tiresia, si trasforma da adolescente incompreso in sfacciata ragazza di periferia, e allo stesso modo, qualche minuto dopo, ritorna uomo. Le parole di Kae Tempest, poeta, rapper e performer inglese autore del testo (poi nella raccolta del 2014 Hold your own, tradotta da Riccardo Duranti), unite al timbro magmatico, tremulo e sottilmente ironico dell’attore Premio Ubu 2021, collaborano a materializzare queste trasformazioni: ad esempio, tramite la visione, in un bosco di periferia urbana, di una coppia di serpi attorcigliata sul terriccio. La regia di Giorgina Pi trova nel teatro comunale di Pergine uno spazio tecnicamente ineccepibile, perfetto per il raccoglimento e la concentrazione che merita la poesia.

E questa è poesia per le orecchie: evitando giochetti di parole, rime ricercate o anafore a effetto (classiche e vetuste strategie per ingraziarsi il pubblico), Tiresias chiede lo sforzo che chiedono tutti i versi davvero densi di significato. E neanche troppo, poiché regia e attore ne fanno un flusso continuo, in cui è facile lasciarsi andare, in un andirivieni continuo fra parole, suoni e immagini che perdona ogni disattenzione a chi sa perdervisi all’interno. Questo flusso non a caso ingloba musiche di età e culture diverse, richiamate dal performer nei panni di un dj esperto. Di nient’altro che di microfoni, una chitarra e due giradischi ha bisogno la scenografia, e le luci circolari a terra delimitano lo spazio e giocano con il tempo che corre e a volte torna su se stesso. Lo spettacolo, anzi, complici il successo e gli ormai due anni di circuitazione, ha acquisito così tanta sicurezza e naturalezza da diventare quasi iconico, cristallizzandosi in un’immagine rappresentativa dei nostri tempi, un ritratto classico e contemporaneo del personaggio che gli dà il titolo.

foto: Elisa Vettori

È stato già detto molto sul Tiresias del collettivo BLUEMOTION, a cominciare dai messaggi politici che emergono in maniera spontanea: l’opposizione al binarismo di genere, la fluidità, il queer, ma soprattutto la rivendicazione di uno spazio di libertà, la ribellione rispetto a un sistema e a una società oppressivi. La potenza poetica di immagini come quella di una ragazza sfacciata, “regina tra gli emarginati”, oppure di un anziano folle, fermo alla fermata del tram con i resti del pollo fra la barba, ignorato dai passanti, trasforma queste critiche sociali in lame taglienti.

Se è stato già detto molto su questo spettacolo, ritrovarlo con gioia in un festival (momento deputato all’innovazione e alla sperimentazione) ci dà però occasione per una breve riflessione legata al sistema produttivo teatrale italiano. Il fatto che uno spettacolo bello e importante di due anni fa sia qui a Pergine pare infatti rappresentare un piccolo segno indicativo dei tempi e del sistema di produzione e di distribuzione degli spettacoli in Italia. Con l’occasione della prima regionale, infatti, il festival sembra riportare a galla una falla del sistema, ovvero la tendenza a promuovere ogni anno nuove produzioni a discapito di spettacoli che meriterebbero una circuitazione più estesa nel tempo. Questo rischio non è così distante dalla realtà: basterebbe prendere, a titolo esemplificativo, gli altri spettacoli vincitori degli Ubu e vedere in quanti teatri sono stati ospitati.

Occasioni come quella di Pergine festival rappresentano anche momenti di riflessione importanti per osservare il mondo teatrale italiano nel suo insieme.

Riccardo Corcione


foto di copertina: Elisa Vettori

TIRESIAS
un progetto di BLUEMOTION
da Hold your own/Resta te stessa di Kae Tempest traduzione di Riccardo Duranti
regia Giorgina Pi
con Gabriele Portoghese
dimensione sonora Collettivo Angelo Mai
bagliori Maria Vittoria Tessitore
echi Vasilis Dramountanis
costumi Sandra Cardini
luci Andrea Gallo
accompagnamento Benedetta Boggio
una produzione Angelo Mai/Bluemotion